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Allonsanfàn
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American way of life. Il sogno americano che non c’è mai stato

È molto frequente tra gli “esperti” ridicolizzare Trump dipingendolo come un folle, prepotente e megalomane. Questo atteggiamento può esser visto non solo come una semplificazione mediatica, ma anche come un tentativo di esorcizzare una verità più inquietante, cioè quella di un uomo freddo, calcolatore, espressione genuina di un sistema oligarchico in pieno funzionamento.

Il nuovo presidente Usa ha cancellato di colpo l’American way of life? Penso che quel sogno americano non si sia mai avverato, se non in apparenza, e che oggi il vero potere della grande nazione abbia gettato la maschera. Lo afferma chiaramente nel suo accorato intervento il senatore democratico Bernie Sanders: «Siamo governati da re moderni, padroni della tecnologia e della finanza… la vera oligarchia si è ormai mostrata senza pudore».

Quel discorso dà voce a un sentimento che cresce negli Usa e fuori, la percezione che l’oligarchia abbia preso possesso delle istituzioni democratiche, della comunicazione e dell’immaginario collettivo.

La storia degli Stati Uniti è piena di magnati senza scrupoli con una incontenibile sete di potere e di denaro. Sono quei “cattivi” trasferiti dalla realtà in molti film e romanzi, il cui finale si conclude quasi sempre con la vittoria dei “buoni” e della giustizia. Un classico è il film Quarto potere, del 1941, diretto da Orson Welles che si era ispirato alla vita del magnate dell’editoria William Randolf Hearst. Il protagonista Foster Kane è un ricchissimo editore di giornali incapace di rispettare il prossimo se non “alle sue condizioni”. Finisce che da vecchio e morente viene abbandonato da tutti i suoi falsi amici.

American way of life
Welles: campagna elettorale in Quarto Potere

Ma ancora più vicino a quanto accade oggi è Il tallone di ferro, romanzo dimenticato di Jack London (1876-1916), pubblicato nel 1907. È un testo profetico che analizza la politica del capitalismo dei suoi tempi. È uno di quei testi che sembrano scritti per il presente, una distopia che descrive perfettamente lo strapotere di una élite economica di predatori; una chiaroveggenza sul futuro del capitalismo che opprime e distrugge ogni immagine di giustizia sociale.

L’eroe del romanzo è Ernest Everhard, un socialista che combatte contro il tallone di ferro, una consorteria di oligarchi al potere. Quel libro appare come una eccezione rispetto alle altre opere più note di London e ricche di avventure.

Ci sono molte affinità con Mark Twain (1835-1910), il padre della narrativa moderna americana, l’autore di Huckleberry Finn, Tom Sawyer, Il principe e il povero e tante altre opere. Quelle avventure, considerate libri per ragazzi, contengono in realtà atti di accusa contro la società americana di allora, razzista, ipocrita e violenta.  Non a caso lo scrittore, noto anche per i suoi aforismi, gliene dedica uno che dice: «La scoperta dell’America? Certo, è stato bellissimo trovare l’America; ma perderla sarebbe stato ancora più bello». Lo scrive in Incident in Philippines, un saggio sulla guerra ispano-americana (1898) che iniziò a Cuba (colonia spagnola) quando un’esplosione distrusse nel porto dell’Avana la corazzata USA Maine provocando la morte di metà dell’equipaggio.

American way of life
La bandiera proposta da Twain per le Filippine controllate dagli Stati Uniti

Washington affermò che fu un attentato preparato dagli spagnoli, ma decenni dopo venne dimostrato che era stato un incidente grazie al quale gli americani trovarono il pretesto per dichiarare guerra alla Spagna e occuparono Cuba dopo un conflitto sanguinoso. L’isola venne dichiarata indipendente con un governo “democratico” made in USA voluto dal presidente McKinley. Il miliardario Hearst si vantò di aver contribuito alla conquista attraverso i suoi giornali.

Per inciso, scattato il proibizionismo anni dopo, Cuba diventò il “bordello degli Stati Uniti” dove la flebile democrazia cedette il posto alla mafia americana che piazzò al governo un dittatore fantoccio. In realtà a comandare realmente erano Mayer Lansky e Lucky Luciano, proprietari di alberghi, case da gioco e bordelli di lusso.

Il saggio di Mark Twain si rivolge al prolungamento della guerra che raggiunse le Filippine, un’altra colonia spagnola. Si tratta di un testo molto aggressivo e disincantato, che prende di mira con sarcasmo la politica imperialista degli Stati Uniti.

Particolarmente cruenta fu la reazione che gli USA riservarono ai filippini in rivolta: con la resa della Spagna gli americani avevano promesso loro l’indipendenza, invece comprarono il loro Paese per 20 milioni di dollari. Il conflitto che ne nacque si rivelò molto violento: si protrasse fino al 1913 causando quasi un milione di vittime tra i filippini sottoposti a una feroce repressione da parte delle truppe americane che fecero grande uso di torture e di campi di concentramento. Twain si scaglia duramente, tra l’altro, contro l’ipocrisia dei politici del suo Paese, sottolineando le atrocità commesse in nome della civiltà. Quel libro scritto nel 1901 subì la censura e venne pubblicato postumo nel 1924.

In fondo gli Stati Uniti non sono cambiati molto da quando conquistarono l’indipendenza dalla Gran Bretagna e vararono una moderna costituzione: quella società “democratica” mantenne lo schiavismo per una settantina di anni, trasformandolo dopo in segregazione razziale; poi “civilizzò” i nativi con il genocidio. Infine, con la scusa di combattere il comunismo, intervenne sulle democrazie di molte nazioni “amiche” attraverso la Cia che organizzò colpi di stato a catena.

Il centro dei complotti era la Escuela de las Americas fondata a Panama negli anni Settanta dalla Cia che preparava, con il benestare di Kissinger, gli ufficiali degli eserciti sudamericani a pianificare i colpi di stato “anticomunisti” e a come eliminare gli avversari.

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Kissinger stringe la mano a Pinochet nel 1976

Forse il progetto del sogno americano si avvicinò alla realizzazione nei lunghi anni della presidenza di F.D. Roosevelt con la riduzione della disoccupazione provocata dalla grande crisi del ’29, con l’attuazione del welfare, con una politica di intervento pubblico nella finanza, la ristrutturazione del sistema creditizio attraverso la creazione di meccanismi di garanzia dei depositi e l’introduzione di nuove regole per le banche.

Ma il presidente dovette combattere contro un’oligarchia restia alle riforme cui apparteneva anche Joseph Kennedy, padre del futuro presidente, un miliardario apertamente filonazista, arricchitosi durante il protezionismo con il contrabbando degli alcolici.

Poi l’intervento, voluto da Roosevelt nella seconda guerra mondiale in aiuto di una Europa in mano ai nazisti. L’Europa deve ringraziare quell’America per aver contribuito alla sua liberazione e in particolar modo l’Italia deve esser grata a Roosevelt per aver impedito che la monarchia restasse al potere, come voleva Churchill. «Lasciamo che gli italiani scelgano da soli» disse.

Par la foto in apertura, credit: Donald Trump by Gage Skidmore is licensed under CC BY-SA 2.0.

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