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L’aiuola che ci fa tanto feroci. Testimonianze di pace

L’aiuola che ci fa tanto feroci è un verso del ventiduesimo canto del Paradiso nella Divina Commedia di Dante Alighieri. Dante e Beatrice stanno seguendo Benedetto all’Empireo, nello spazio della costellazione dei Gemelli, il segno dei pellegrini; Dante rivede i cieli dei sette pianeti e, in quel fondo dell’infinito, la Terra – l’aiuola che ci fa tanto feroci – che scatena fatalmente gli istinti violenti degli uomini, da cui si sente ormai lontano. 

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L’aiuola che ci fa tanto feroci è il titolo dato a una antologia contro la guerra, edita da Altreconomia e curata da Giulio Marcon, saggista e portavoce della campagna Sbilanciamoci!

Da Sofocle ad Aristofane ai Vangeli di Matteo; da Erasmo da Rotterdam a Gandhi ad Hannah Arendt; da don Milani a Martin Luther King a Norberto Bobbio a Joan Baez e a moltissimi altri – oltre cinquanta le testimonianze – il pensiero e le voci di chi si è sempre detto convintamente contrario alla guerra sono raccolti in un volume di testi filosofici, religiosi e giuridici, di narrazioni e poesie di diverse epoche e culture.

Un lavoro importante, in un momento in cui i conflitti sconvolgono il mondo (sono più di 50 le guerre in corso).

“Ogni anno – scrive Marcon nell’introduzione – decine di conflitti violenti insanguinano il pianeta: conflitti locali, nazionali ed etnici, invasioni, interventi militari che provocano centinaia di migliaia di morti, distruzioni immani, sofferenze che si prolungano nel tempo. Spesso si tratta di guerre dimenticate e nascoste, talvolta asimmetriche, in cui combattono bande paramilitari ed eserciti privati… I rischi di una guerra generalizzata, persino mondiale, sono in aumento, alimentati dalla possibilità di uno scontro nucleare tra la Russia e la Nato”.

«La guerra esiste da quando esiste l’umanità» ricorda Giulio Marcon in un’intervista «ma questo non significa che bisogna legittimarla. Nella storia sono anche tante forme di opposizione alla guerra. Da Sofocle in poi le testimonianze e l’impegno si sono moltiplicati. È giusto e opportuno raccontarli: se pure non sono riusciti a sconfiggere la guerra, sono a testimoniare che c’è una parte di umanità che ne soffre le conseguenze e che alla guerra ci si oppone in ogni modo, anche con gli strumenti della cultura, della testimonianza e della religione».

Uomini e donne, filosofi, pensatori, artisti, religiosi, politici, che sono punti fermi, «fari politici, sociali, morali» così li definisce Marcon «che ci hanno insegnato tanto e che hanno fatto tanto» non solo contro la guerra ma anche per i diritti civili.

L'aiuola che ci fa tanto feroci Altreconomia

Scrive Marcon: “Alberto Moravia disse che sarebbe stato necessario tabuizzare la guerra, cioè renderla un tabù come succede per altri comportamenti umani inaccettabili, come l’incesto. Da allora è successo l’opposto. La guerra è stata rilegit­timata come strumento ordinario di politica internazionale (la guerra come continuazione della politica con altri mezzi): non è mai diventata un tabù, ma la normalità della politica estera… A partire dal 1999, con la guerra in Kosovo, si è tentato non solo di rilegittimare, ma di nobilitare la guerra. Magari chiamandola in altro modo: oggi Putin parla di operazione militare speciale, in occidente la guerra del Golfo fu definita una operazione di polizia internazionale. La guerra del 1999 fu chiamata umani­taria (si parlò anche di ingerenza umanitaria) e il primo ministro inglese di quei tempi, Tony Blair – forse influenzato dal passato di dominazione coloniale del suo Paese -, disse che era il tempo di inaugurare l’epoca dell’imperialismo dei diritti umani, il cui compito era di esportare la democrazia in quei paesi riluttanti ai valori e alle regole del consorzio internazionale”.

L’aiuola che ci fa tanto feroci è da leggere perché mette in evidenza come ci possano essere strade in opposizione e in alternativa alla guerra. «Sono le strade della prevenzione» ricorda Marcon «della costruzione della pace, della solidarietà internazionale e naturalmente dell’obiezione di coscienza e della disobbedienza civile».

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