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Allonsanfàn
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La mia rabbia per la guerra

Tempo fa avevo scritto un breve racconto sui miei pochi ricordi di guerra di quando avevo quasi quattro anni. Erano alcuni flash rimasti fissati nella mia mente: il bombardamento notturno di Trani visto dalla terrazza della mia casa di Barletta, con le bombe che esplodevano come lune frantumate; il ronzio degli aerei simile a quello delle api; il lento percorrere del treno – su cui viaggiavo con mia madre – sull’unico binario in funzione lungo la stazione di Foggia, ridotta in macerie da un altro bombardamento. Due giorni prima gli aerei alleati avevano ucciso 20 mila persone. Fu un’azione di guerra che The New York Times criticò duramente. Attaccato al finestrino osservavo le carcasse dei vagoni, le locomotive squarciate e ancora fumanti.

Non ero intimorito, ma affrontavo un contesto insolito che non apparteneva alla mia vita tranquilla di bambino; era lo scenario di un altro mondo distaccato da quello in cui mi trovano viaggiando in uno scompartimento accogliente che mi dava sicurezza. Però quelle “visioni” su cui mi aspettavo forse una risposta di mia madre meno sfuggente, mi avevano creato sensazioni di angoscia e inquietudine che mi hanno accompagnato per tanto tempo.

Nel descrivere quelle “antiche” impressioni pensavo di poter fare un confronto con i bambini di oggi coinvolti dalle guerre. Ma mi è stato impossibile: trovare delle parole è come cercar di parlare mentre si annega. Il dolore per ciò che sta accadendo a Gaza è così grande, così feroce, che spesso non trova voce, non trova forma. Però restare in silenzio di fronte a tanta sofferenza, sarebbe un distacco da questa tragedia, quasi un tradimento.

Di fronte allo spettacolo delle macerie, dei corpi senza nome, degli occhi dei bambini affamati che non sanno più cosa sia la sicurezza o l’infanzia, sento il dovere di esprimere il mio dolore, la mia impotenza, la mia rabbia. Questo scritto nasce da lì: non dalla presunzione di spiegare o giudicare, ma dal bisogno umano di non voltarsi dall’altra parte. Gaza non è solo un luogo lontano, è una ferita aperta nel cuore del mondo. E mi è impossibile tacere.

Come mi è impossibile farlo anche di fronte alla strage compiuta il sette ottobre del 2023 da Hamas che mandò i suoi terroristi in territorio israeliano per massacrare centinaia di giovani in festa che partecipavano a un concerto; attaccarono abitazioni uccidendo uomini, donne e bambini; assaltarono caserme di polizia con poco personale, dilagarono sulle strade sparando a casaccio contro i passanti e infine rapirono tante persone di tutte le età. I morti furono 1400 e i rapiti più di 200. Fu un pogrom vero e proprio.

A cosa è servito quell’attacco se non a peggiorare una situazione già incandescente? A cosa serve un’opinione pubblica divisa tra partigiani dell’una o dell’altra parte? I morti sono tutti esseri umani, gente pacifica sacrificata da pochi uomini di potere che spargono la morte in nome del loro Dio vendicatore inesistente.

Gaza gente lascia case Vittorini guerra
La gente di Gaza lascia le proprie case. Credit: “Forced Displacement of Gaza Strip Residents During the Gaza-Israel War 23-25” by Jaber Jehad Badwan is licensed under CC BY-SA 4.0.

Agli inizi del mio lavoro di giornalista quella angoscia di bambino mi era ancora rimasta assieme al distacco   professionale che dovevo mantenere di fronte agli eventi: ricordo tra le mie prime esperienze la tragedia delle Olimpiadi di Monaco di Baviera quando 9 terroristi palestinesi di Settembre nero fecero irruzione il 5 settembre del 1972 negli appartamenti degli atleti israeliani. Ci furono 17 morti, 6 allenatori e 5 atleti di Israele, 5 terroristi e un poliziotto tedesco. Ero arrivato sul posto quasi alla fine della sparatoria: mi chiesi il perché di quell’attacco; che cosa avevano fatto di male quegli atleti al popolo palestinese? Ero pronto a scrivere parole terribili, ma poi prevalsero le regole del mestiere.

In quei tempi era in corso la guerra in Vietnam con la pesante presenza a Sud delle forze americane: i loro aerei spargevano il terrore tra la popolazione civile del Nord con bombardamenti quotidiani sulle città e le campagne che inondavano di diserbanti, cioè di prodotti chimici vietati dalle convenzioni internazionali. Allora l’opinione pubblica del mondo occidentale intervenne in massa contro quel massacro. Si mosse persino il sindaco di Firenze Giorgio La Pira, democristiano, il quale si recò ad Hanoi per portare un segnale di solidarietà e di pace. I giovani degli Stati Uniti organizzarono grandi manifestazioni quotidiane contro quel conflitto, fino a costringere il governo ad aprire le trattative con i vietnamiti. La pace arrivò nel ’75 con l’arrivo dei vietcong a Saigon.

Si seppe più tardi che per gli Stati Uniti quella fu una guerra inutile. Lo aveva previsto sin dall’inizio il Pentagono con una lunga documentazione. Lo rivelò The Washington Post pubblicando quei documenti. Di fronte a quegli scenari il mondo civile di allora si era mosso.

E poi nel Medio Oriente, col problema palestinese cominciarono altri conflitti a partire dal Libano dove intervenne per due volte Israele. Seguirono gli eccidi compiuti dalla jihad islamica a partire dalle torri gemelle di New York per arrivare agli attentati in Europa: le bombe nella stazione Atocha di Madrid, nel 2004 con 191 morti, l’assalto alla redazione di Charlie Hebdo a Parigi, dove due musulmani uccisero 12 persone al grido di “Allah è grande”; quello del Bataclan di Parigi nel novembre successivo dove vennero uccisi 90 giovani che ascoltavano musica e ballavano, più altre vittime colpite a caso per strada. E poi Nizza, Barcellona, Londra, e tante altre stragi provocate da terroristi incapaci di uscire dal loro medioevo politico. E adesso alle stragi ha dato un tragico contributo Netanyahu, premier di una nazione democratica di tipo occidentale.

Insomma le guerre inutili – ci possono essere guerre utili? – hanno imperversato sin dalla fine del conflitto mondiale, a partire da quella di Corea. Altro che pace.

Mi viene da ricordare l’inizio di Conversazione in Sicilia nel quale Elio Vittorini scriveva: «Io ero in preda ad astratti furori… Non dirò quali… ma bisogna che dica che erano astratti, non eroici, non vivi: furori per il genere umano perduto».

Era alle porte la seconda guerra mondiale.

Foto in apertura: “A girl walks inside Gaza during the Gaza-Israel war to get food” by Jaber Jehad Badwan is licensed under CC BY-SA 4.0.

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