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Lellouche. L’amour ouf ovvero L’amore che non muore

Gilles Lellouche sì, scritto proprio così, con una elle in più e senza la e finale – nel 2024, come a volte gli capita, ha messo in pausa la lunga e brillante carriera d’attore – cliccate su IMDb, conoscete per certo la sua faccia – girando da sceneggiatore e da regista un filmone molto francese, anche se tratto da un romanzo dell’irlandese Neville Thompson.

L’amour ouf (tradotto da noi, senza gioco di parole, L’amore che non muore) dura 160 minuti cioè è quasi senza termine, come l’amore contrastato e l’avventura di cui racconta: quella di due adolescenti, Jackie e Clotaire, lei perbene, lui già per male, che si incontrano davanti al liceo, intorno alle banchine del porto, all’ombra di una grande fabbrica in un imprecisato nord della Francia.

Lei studia e disprezza le favole di Esopo, lui sta in giro a fare zuffe e diventa un galoppino e poi peggio del carismatico boss locale. Che cosa deciderà per i due il destino, poiché la vita – e la sceneggiatura di Lellouche, aperta al principio e chiusa alla fine tra due scaltre sliding doors, la prima delle quali getta un alone funebre su tutta la storia – si ingegna per tenerli lontani, anche se Jackie e Clotaire sono le metà dello stesso cuore pulsante?

Conta molto come la vecchia storia è narrata di nuovo. Arcisentimentale e drammatico, vorticoso nelle soluzioni visive piuttosto pop, quasi che ognuna dovesse sorprendere tra stop in ppp pittorici e scoppi di movimento e di violenza, L’amour ouf è pieno di tutto, compresa la musica del periodo, sintonizzata tra anni Ottanta e Novanta, e un balletto a due, in un continuo immaginifico tour de force.

Lamourouf

In patria, passato in concorso da Cannes 77, il film è diventato un campione d’incasso. Merito anche di attori in stato di grazia, come Jackie e Clotaire in versione ragazzo e poi adulti con la pausa – quasi una fine di primo tempo – di dieci anni, che il ragazzo passa ingiustamente in galera.

Menzioni speciali dunque al quartetto composto da Malik Frikah, Mallory Wanecque, Adèle Exarchopoulos e François Civil. Ma applausi vanno anche al belga Benoît Poelvoorde (ex Dio di un vecchio film di culto), qui nella parte del delinquente con codice morale e una sorniona propensione a improvvisarsi chansonnier. Senza scordare Élodie Bouchez (bentornata!), mamma di lui, e Alain Chabat, padre vedovo di lei, che ha vinto un César come non protagonista – uno dei tredici a cui il film era candidato.

Sotto la ricerca di meraviglia continua, avvisiamo, può celarsi il Kitsch e il luogo comune espresso in modo bombastico – è questo il rischio che il Lellouche senza elle e senza e corre spavaldamente fin dal principio -, ma il film porta divertimento se non emozione in ogni sequenza. Diteci che ne pensate…

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