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Chiara Barzini. Dopo il fuoco, l’ultima acqua della California

Segui l’acqua, seguine i vortici tra epoche, visioni, miraggi e deserti: capirai la California e il suo sogno americano. È un libro felicemente anomalo (e, stilisticamente, poco «italiano») L’ultima acqua di Chiara Barzini (Einaudi, pp. 292, 11,50 euro). Un reportage narrativo nella West Coast, ma anche una seduta di autoanalisi che – strano ma vero – va a buon fine; una formidabile galleria di paesaggi devastati o incantati sulla risorsa liquida che oggi fa la fortuna di un Paese e un racconto di cinema tra film-capolavoro e «dietro le quinte» di una Hollywood senza remissione. E tutti questi piani, che potrebbero collassare in un illeggibile guazzabuglio, si alternano invece con armonia e finiscono per combaciare, perfetti, grazie a quel che in qualunque libro fa la differenza: la forza della scrittura.

Chiara Barzini l’ultima acqua

Barzini, oltre a essere scrittrice, fa la sceneggiatrice e le sue due «anime» sono alla base di questo suo nuovo lavoro. Che parte proprio da un volume che le viene regalato da un amico nel 2017, in occasione di una presentazione del suo libro precedente. Il titolo del dono è eloquente: Rapporto finale sulla costruzione dell’acquedotto di Los Angeles di William Mulholland, ovvero sull’opera di ingegneria e ambizione che ha segnato profondamente il destino della Città degli Angeli. Questa cronaca tecnica, a lungo custodita tra le cose care dell’autrice, come un materiale radioattivo rilascia però la sua energia e innesca il suo interesse e i ricordi. Tornando in California a discutere della sua sceneggiatura per un film (dal titolo stavolta poco «americano»: Magari), decide anche di mettersi sulle tracce dell’acqua che, inquadra in questo modo: «Ha sempre avuto risonanze bibliche in California: grandiosa, eroica, piena di sfumature morali e spirituali. È l’elemento a cui si sono rivolti predicatori e capi-setta quando hanno bisogno di accedere a una riserva di spiritualità in una città che sembra non averne».

Chiara Barzini l’ultima acqua
Rooftop con piscina a Los Angeles

 Grazie all’acqua, in arrivo da una sierra distante 365 chilometri, è avvenuta quindi la metamorfosi di un’area semidesertica: il «balsamo fino» che ha permesso di allestire il set urbano fitto di piscine azzurre e di palme. Una benedizione, ma si scoprirà pagina dopo pagina anche una maledizione. A cominciare da quella di immobiliaristi spregiudicati con la volontà si piegare la natura dell’Ovest americano, impegnati a spacciare impossibili utopie balneari in mezzo a distese di sabbia.

Si arriva per esempio al Salton Sea, dove una megalomania che voleva un mare là dove invece ci sarebbe dovuta essere aridità, ha fatto arrivare una fauna ittica, con tanto di squali. Ma oggi, come in un capitolo di García Márquez, questo bacino interno formato dal fiume Colorado è morso dalla siccità e è quasi completamente evaporato, lasciando macerie sociali e disastri economici, in uno scenario abitato da post-hippie naufraghi nel nulla.

Chiara Barzini l’ultima acqua
L’argine del Salton Sea all’alba

Nel suo vagabondaggio, la scrittrice è costretta a deviare fino a Las Vegas. E anche qui uno scialo insensato prende forma nei giochi d’acqua alti 140 metri del celebre Venetian resort, così come nei suoi simil-canali che puzzano di cloro. Oltre il luccichio dei casinò, da uno strappo nel sipario spunta fatalmente la cartapesta. Ancora una tappa: nel miraggio urbanistico di California City, che sarebbe dovuta essere la terza città più grande dello Stato, anch’essa ristorata sulla carta da spropositati laghi artificiali, è stata consumata l’ennesima truffa ai danni di ottimisti sottoscrittori di proprietà immobiliari. Oggi quel luogo in mezzo alla Valle della morte – e ai confini della realtà – ospita una prigione, versione aggiornata della storica isola della Cayenna.

Chiara Barzini l’ultima acqua
Installazione d’arte marxista a Bombay Beach

La capacità di Barzini è quella di far convergere nel racconto aneddoti su gangster, personaggi del cinema, vicende storiche, ricordi di giovinezza (i party nel deserto del Mojave), dettagliati resoconti del presente. Si tocca così il cuore del viaggio, l’Owens Valley, dove si estendeva il lago omonimo che oggi è quasi in secca. Qui i venti alzano vortici di polveri tossiche, con i fertilizzanti che in passato si erano riversati in acqua e adesso minano la salute dei superstiti che ancora abitano l’area.

È una delle pagine migliori del libro, con l’epopea della diga di San Francisquito – 60 metri di altezza per 340 di larghezza e 10 mila muli impiegati per costruirla su terreni impervi. Una temeraria «torre di Babele» che, a fine anni Venti del secolo scorso, sfida i principi dell’idraulica e della statica; obiettivo, riempire un bacino da 13 miliardi di litri d’acqua e dare finalmente una liquida prosperità alla lontana metropoli assetata. Ma come in un kolossal catastrofico, il 12 marzo 1928 la costruzione ciclopica cede. Un’ondata alta 40 metri spazza via la vita degli abitanti e tutto il resto.

Chiara Barzini l’ultima acqua
L’Owens Lake ormai senz’acqua

 La stazione di arrivo dell’Ultima acqua (Barzini fa il suo viaggio nel 2023) è nella San Fernando Valley, dove un’ignara Los Angeles ha rimosso le origini e la storia del proprio «oro blu». Ugualmente, trova il suo epilogo il tormentato progetto cinematografico dell’autrice. Incontra infatti il regista del potenziale film tratto dalla sua sceneggiatura e ha modo di descrivere in modo chirurgico e impietoso il mondo hollywoodiano: con i suoi rituali e i cliché più da «manifattura delle frustrazioni» che da «fabbrica dei sogni».

È però straordinario, in contrasto con quel mondo sempre sul filo della menzogna, il colloquio con il vecchissimo Robert Towne. Lo sceneggiatore di Chinatown, capolavoro di Roman Polański
interpretato da Jack Nicholson, ha tracciato uno dei più lucidi e disperati ritratti della Città degli angeli, con sullo sfondo le vicende travagliate della sua risorsa liquida. Lui, sicuro delle sue scelte creative e spesso in contrasto con produttori e registi, a una Barzini confusa sul destino della propria sceneggiatura, sentenzia: «Che si fottano». Oracolare.

Chiara Barzini l’ultima acqua
Il tubo dell’acquedotto che dalla Sierra arriva a L.A.

Se la costruzione del gigantesco tubo d’acquedotto che convoglia cascate d’acqua a Los Angeles simboleggia la vanagloria del costruttore Mulholland alla conquista delle terre desertiche, nel libro c’è anche il suo contraltare, finalmente positivo. Con un cambio rapido di continente e paesaggio si viene catapultati nella campagna romana: la scrittrice si ritrova a esplorare un antico acquedotto che affronta ancora i millenni e qui scopre una piccola foresta pluviale che custodisce un paradiso di  germinazione. È un segno di speranza dal passato remoto nei confronti di un presente incertissimo come quello che ci tocca. Mentre scriviamo, proprio per le strade di Los Angeles, è in corso una caccia al clandestino voluta da Donald Trump. Nella sua lotta contro gli immigrati clandestini, il presidente-imperatore ha mobilitato migliaia di volontari della Guardia nazionale e persino i marines. Una volta di più, questo luogo produce un’attualità più drammatica di qualsiasi finzione hollywoodiana.

Chiara Barzini l’ultima acqua
Salvation Mountain di Leonard Knight nella Coachella Valley

L’ultima acqua si apre con l’incendio che ha devastato nei mesi scorsi le aree delle Palisades, inclusa Malibu, e di Altadena, mandando in fumo con migliaia di edifici e danni per 325 miliardi di dollari anche l’immagine di un’epoca di opulenza. Le righe finali, in modo circolare, si chiudono con una scritta «graffitata» in una piscina vuota che, nonostante i film impossibili da girare, il fuoco reale e il falò di tutte le illusioni, diventa una dichiarazione d’amore della scrittrice per la città che conosce così bene. Dice: «Vola, schiantati, guarisci, ricomincia». In altre parole, la vita.

Sì, Barzini ha scritto un gran bel libro.

Chiara Barzini l’ultima acqua
Chiara Barzini

Le fotografie sono di Chiara Barzini. Il ritratto di Chiara in apertura, allacquedotto di Ponte Lupo, e quello qui sopra sono di Lorenzo Castore

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