Riti collettivi, stereotipi della nuova ideologia woke, ossessioni dell’età, insospettabili moralismi su sesso e altre passioni. Il nuovo romanzo di Piersandro Pallavicini è una divertente commedia di incomunicabilità generazionale, tra vecchi e giovani
Piersandro Pallavicini, con il suo nuovissimo romanzo Il mondo di Maria (Mondadori) – con protagonista una ventenne studentessa bocconiana, esponente da manuale di una generazione Z perfettamente spaesata – potrebbe aggiornare così i tratti del personaggio di quella canzone: “La relatività Maria, la rivoluzione (ma non all’ora dell’aperitivo), / Instagram, lo schwa alla fine delle parole / e poi, non dimentichiamocela, la fluidità“.
D’accordo, si scherza giocando con le rime, ma non troppo. Al suo quindicesimo libro lo scrittore pavese racconta contraddizioni e fragilità di questa giovanissima donna – l’ansia per il post-Covid, per le guerre che scoppiano ovunque, per il futuro incerto – e mette al centro della storia l’eterno conflitto tra vecchi e giovani con l’insostenibile pesantezza del “politicamente corretto” a condizionare un loro eventuale dialogo. Ma questa «commedia venata di malinconia per incomunicabilità generazionale», per definirla con le parole di Pallavicini, dimostra anche come una piccola città qual è Pavia funzioni da osservatorio privilegiato sulla realtà, comune molto al di là di una provincia un po’ in disarmo.

A parte Maria, il personaggio principale e voce narrante del romanzo è suo padre Gil, al secolo Gilberto Pertusati. Un sessantenne più che benestante, assai “alcolico”, nullafacente con velleità narrative, che però come massima espressione scrive raccontini di vita locale sul quotidiano cittadino.
La moglie di Gil, Giulia, ha una una vita parallela e totalmente autonoma. Funzionaria a Bruxelles, con lei il rapporto del marito si limita a sarcastiche schermaglie sui suoi presunti – e reali – amanti e sulle preoccupazioni per lo stato psicologico di Maria.
In questo scorrere di tempo e di vite tutto sommato ordinarie (come il corso del Ticino, il fiume che è mèta obbligata per Gil) si abbattono due schegge impazzite: una è Cicci Lopez, ventenne d’ascendenze cubane, esuberantissima per spirito e forme, già compagna di liceo di Maria. O, per meglio dire, la sua antagonista: parla sboccato, nessun timore di menare le mani, rappresenta un calcio nel didietro al rito dell’aperitivo alla milanese con i figli di papà che indossano l’impermeabile supergriffato, puntualmente annotato dallo scrittore, così come gli altri immancabili accessori.

Ultima ma cruciale figura, Gigi Galbani: ex prof universitario e misantropo, un cinico coetaneo di Gil che pasteggia a champagne e cucchiaiate di caviale, è un lettore famelico e abita in una casa nel cuore di Pavia. Custodisce, si scoprirà nel corso, segreti inquietanti: per esempio, una scatola etrusca che grazie a un pulsante pare poter decretare il destino – fatale – degli insopportabili umani che costellano la vita di ciascuno di noi. Gil ne scoprirà l’arcano, senza però rivelarlo. Un tocco mistery che arricchisce l’intreccio.
La vicenda è condotta con leggerezza e controllo. Pallavicini ha una scrittura precisa con dialoghi assolutamente convincenti. I colpi di scena si susseguono tra feste universitarie “after” e spogliarelli di party-perchero (che vandalizzano l’appartamento di design dove Maria vive in affitto e che ha ceduto per una settimana causa debiti di “fumo”); sfilano “Incel” ovvero “involontari celibi” e ci sono inaspettati coming out sulle inclinazioni sessuali.
Per riempire i propri vuoti e darsi una ragione, Gil asseconda Maria in tutto; ristoranti e bar dell’“aperi-città” in cui ormai si è trasformata Milano, shopping alla moda, sedute dallo psicanalista guru. Ma alle ultime pagine, senza alcuna insopportabile morale – che sia per accettazione o come scappatoia dalla noia quotidiana -, il protagonista maschile approda a una personalissima forma di saggezza; disillusa senza esagerare, che gli rende accettabili se non addirittura sodali persino gli odiatissimi pensionati del suo bar di riferimento, quelli che regolarmente gli sottraggono il giornale, avidi di lettura gratis.
La consolazione? Il Ticino appunto, «il nastro blu che si snoda verso valle» e rincuora nella luce violetta della sera. La natura come cura. Almeno provvisoria.

Pallavicini – che è docente di Chimica all’ateneo pavese – nel suo secondo mestiere di narratore osserva con approccio scientifico le follie intergenerazionali (a cominciare proprio dal famigerato schwa, «che sulla pronuncia della fine delle parole ha l’effetto di un’anestesia dal dentista»), le ha catalogate e le ricombina nella trama.
Quindi si è divertito a raccontare la vita di Gil e di Maria, di Giulia, del Galbani e di Cicci Lopez? Seduto al tavolino dello stesso bar che nel libro – lo segnaliamo – è un luogo cruciale, lo scrittore sorride da sotto i baffetti: «I miei personaggi non sono copiati dalla realtà eppure sono autentici. Sono costruiti con frammenti di noi, che me li rendono familiari. E per i loro drammi e meschinità mi sento di assolverli totalmente… Tanti spunti per raccontare i ragazzi che frequenta Maria li ho ricavati da amicizie e ambienti conosciuti attraverso mia figlia: che non è certamente Maria, però frequenta l’università a Milano».

Lei comprende e, in gran parte appoggia, le istanze delle nuove generazioni. Eppure, nel libro, ne prende anche in giro aspetti che risultano indigeribili.
«Non sopporto più il “wokismo”, la battaglia per diritti “a prescindere”, lo schwa che vuole imporre la lingua per decreto… Ci vedo un grosso rischio: la frammentazione dei più giovani in minoranze, ognuna con le sue rivendicazioni magari in competizione con le altre. La mia generazione ha fallito in quasi tutto, ma aveva una prospettiva più universalistica nelle sue lotte».
Perché insiste su questo baratro tra generazioni, soprattutto nella sfera sessuale?
«In molti giovani c’è una riprovazione moralistica verso gli anziani che ancora provano attrazioni – mi riferisco a quelle che restano ideali, ovviamente – per la bellezza di chi magari ha vent’anni. I “vecchi bavosi” li chiamano… Però le pulsioni esistono a ogni età. Negarle e censurarle è una contraddizione delle nuove generazioni con la loro richiesta, legittima, di sperimentazione e fluidità sessuale. Nel libro, da sessantenne quale sono, rido sì degli anziani e delle loro ossessioni, ma mi viene da fare altrettanto con il tabù giovanile sull’età».
Perché tanta accuratezza nell’ambientazione e nei brand, come quelli degli accessori ostentati dai giovani bocconiani?
«Non mi piacciono i romanzi dove l’autore consegna al lettore qualcosa di indistinto. Non si devono usare i trucchetti, le scorciatoie comode. Anche nella topografia di una città, cerco di dare riferimenti esatti. Le marche di abiti e accessori servono per tratteggiare il personaggio. E poi c’è la scrittura: la mia regola è dire soltanto il necessario. Il superfluo si taglia. Le prime 20 pagine di un romanzo mi vengono facilmente, perché parto da un’idea forte. Poi, fino alla pagina 60-70, magari fatico perché la storia si sta ancora formando. Oltre quello scoglio, vado spedito. Alla fine c’è la revisione, lunghissima, ma anche divertente: il grosso del lavoro a quel punto è fatto…».
Cosa apprezza di Gil, che comunque dà il punto di vista della vicenda?
«Direi la rendita di 15mila euro al mese che gli arriva da affitti di case a Milano! Gli invidio una vita liberata dalle necessità. All’apparenza, perché in realtà è disperato: beve, ha una moglie che non lo vuole più, non riesce a comunicare con la figlia ormai quasi adulta. La scena di lui in bagno che trova il diario di Maria, dove lei riporta le liste di tutto ciò che il padre le vuole spiegare – da cos’è il Paris Saint-Germain alla musica di Nicola Di Bari – per me è illuminante».
Perché tiene tanto alla copertina di questo libro?
«È un quadro di Romina Bassu, un’artista relativamente giovane che trovo davvero interessante. Rappresenta questa ragazza elegante, ma “sottosopra”: simbolica e funzionale».
E dopo questa commedia sul dialogo mancato tra generazioni?
«Il senso di colpa lombardo che colpisce chi non fa nulla, incombe su di me… Così sto pensando di raccontare gli effetti nefasti della religione. Ricordo alle elementari questo prete che ci terrorizzava dicendo come il solo masturbarsi facesse diventare omosessuali. E, come non bastasse, insisteva con il diavolo e gli esorcismi! C’è molto da scrivere».

Le fotografie di Pavia e il ritratto di Piersandro Pallavicini sono di Mauro Querci
- Mauro Querci, giornalista scrittore e fotografo, ha pubblicato il libro Extralarge – microstorie dal lato lungo del mondo. Noi ne abbiamo parlato qui