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Allonsanfàn
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L’indimenticabile Ugo Facco De Lagarda

Era quella del 1972 l’estate di un’altra storia, l’estate della partita di scacchi tra buoni e cattivi, savi e pazzi, Boris Spassky e Bobby Fischer. Ma si rivelò speciale per me, che avevo schierato i miei libri sulla scacchiera ideale di una fioritura identitaria, perché per la prima volta conobbi un vero scrittore. E gli parlai. Andò così.

Il gruppo di ragazzini di cui facevo parte, in vacanza al Lido di Venezia, pranzava con le famiglie nel ristorante Da Valentino; convenzionato con la pensione La Meridiana in cui risiedevamo tutti, era gestito da un cuoco di nome Cencio – scoprii più tardi che Cencio è un’abbreviazione veneta per Vincenzo – il quale passava il tempo a friggere e a detergersi gli occhiali dalle lenti spesse come quelle degli occhiali di Carnevale.

In giardino, un cameriere giovane e svelto, Vittorio, faceva sempre lo spiritoso con noi ragazzi della Meridiana, e sempre in giardino, tutti i mezzogiorni pranzava solo, e in un angolo appartato del pergolato, un signore anziano secco secco; vestito dignitosamente di pantaloni di tela beige, golf beige ed espadrillas, stava ritto come un militare, e a scatti interrompeva i suoi silenzi per qualche facezia controllata con il cameriere; gli brillava allora in bocca una bella dentatura, che rischiarava il suo volto seminascosto da occhiali bifocali con lenti scure, quando il sorriso per il motto appena pronunciato diventava una breve risatina. Poiché come tutti i vecchi mangiava presto e altrettanto presto scompariva, un giorno noi ragazzini interrogammo Vittorio sull’allampanato commensale. “È uno scrittore, famoso” disse Vittorio. “Ugo Facco De Lagarda”. Mai sentito. “Da un suo libro, Il commissario Pepe, hanno girato un film con Ugo Tognazzi”. Un vecchio film, v.m. 14 per di più: questo ci diceva qualcosa.

A questo punto, però, noi ragazzini avevamo già lasciato il pergolato e fatto rotta verso l’imbarcadero! Avremmo acquistato a Venezia un bel libro di Ugo Facco De Lagarda. Cinque librerie dopo, ci sedemmo arresi in un campiello: nessuno conosceva Ugo Facco De Lagarda, i suoi libri non erano ristampati da tempo, qualcosa in più ricordavano i librai sul commissario Pepe, ma sembravano ignorare che fosse tratto da un libro.

Proprio in quel campiello della delusione c’era una botteguccia di libri remainder. Fu l’ultima a essere indagata. E lì, in effetti, tra volumi polverosi di cui nessuno aveva più nozione, trovammo qualcosa del nostro sconosciuto beniamino: poteva essere La grande Olga, non mi ricordo bene, o un memoriale di guerra, che aveva nell’aletta il profilo di Ugo Facco De Lagarda.

Sul web ho trovato solo questa foto dello scrittore

Ce ne andammo delusi tenendo, però, a mente i titoli elencati nella piccola biografia. Il che venne utile quando il più ardito di noi, durante il pranzo del giorno dopo, attaccò bottone con lo scrittore e, mentre noi rimanevamo rispettosamente in seconda fila, fece in modo di citare nella conversazione un paio di opere di Ugo Facco De Lagarda. “Lei che del resto ha scritto XY e YZ…”, disse l’ardito. Ugo Facco De Lagarda non si chiese come mai un ragazzo occhialuto conoscesse i suoi libri dimenticati (gli parve forse normale che tutti li conoscessero), e continuò nella conversazione ignorandone il lato burlesco.

Molti anni dopo, domandai a conoscenti veneziani se ricordassero lo scrittore; niente: mai sentito. Nessuno ricordava neppure il film con Ugo Tognazzi; solo qualcuno mi disse che sì, qualcosa gli veniva in mente e che il ristoratore Cencio era un uomo buono e faceva mangiare Ugo Facco De Lagarda, che aveva una modesta pensione, pressoché gratis. Questo fatto, quest’indiscreta confidenza, credo mi sia stato raccontato dal nuovo proprietario del ristorante Da Valentino, una persona cerimoniosa che teneva in scarsissimo credito – è il caso di rimarcarlo – la cultura e a maggior ragione scrittori apparentemente sfigati come Ugo Facco De Lagarda.

Ma sai che poi no, non era affatto uno sfigato. né tanto meno povero o squattrinato. Per esempio, è in tutto il globo terracqueo trascurato – ma questo in Italia non desta alcuna sorpresa – il fatto che, da sempre antifascista, Ugo Facco De Lagarda durante la seconda guerra mondiale abbia preso parte alla Resistenza e che nel 1944 sia stato arrestato dai nazifascisti per propaganda e attivismo ostile alla Repubblica di Salò. E poi scriveva e pubblicava, fino alla guerra soprattutto poesia (d’impeto carducciano). La fonte è Wikipedia, l’enciclopedia online che nel 1972 avrebbe risparmiato a noi ragazzini il biglietto del vaporetto di andar per librerie a cercare lumi sul nostro “scrittore famoso”.

Insomma: nel 1972 Ugo Facco De Lagarda, nato nel 1896 e vivo fino al 1982, avrebbe finito fuori dai riflettori una vita tutto sommato di successo, seppure dolorosa e sfortunata nel privato, per la scomparsa precoce della moglie e di una figlia (sempre Wikipedia) – ma possibile che non lo si rammenti, sul suolo della Serenissima, se non per le sue pagine, almeno per la sua infelicità?

Ugo Tognazzi ne Il commissario Pepe

Googlo ancora. Nel dopoguerra, Ugo Facco De Lagarda intreccia exploit letterari, prestigiose collaborazioni giornalistiche (Il Mondo!) e solidi impieghi bancari. M’imbatto poi in una lettera di Italo Calvino, datata 1957 (da I libri degli altri), in cui il ligure è gentile ma severo con il veneziano e cerca di frenarne l’impazienza riguardo la pubblicazione di un romanzo ancora senza nome: “Caro Facco, a lavorare da un editore viene un cuore di pietra… Appena potrò dirLe qualcosa, sarò più felice ancora di Lei. Angelo morto è un bel titolo (il titolo scelto sarà poi La grande Olga, ndr)”.

Avverte l’Enciclopedia Treccani che “solo dopo la caduta del fascismo la sua vena [di Ugo Facco De Lagarda, ndr] di caustico osservatore della società e del costume contemporanei ha avuto modo di manifestarsi nella sua pienezza, dall’ironia al sarcasmo, all’invettiva”. Ne è esempio, oltre a Le figlie inquiete (1956), proprio La grande Olga (1958): si tratta di due titoli che “mescolando un po’ tutti i generi, meglio rispondono al suo gusto bizzarro e scapigliato”.

Mi stupisce, in queste righe, l’assenza di citazione per Il commissario Pepe, che ha per sempre (ma davvero per sempre?) l’andatura sorniona e lo sguardo smagato di Ugo Tognazzi. Il film di Ettore Scola, co-sceneggiato dallo stesso scrittore, rivisto ora, pare un modesto spin-off di Signore e signori di Pietro Germi. Nonostante un intento politico inclina eccessivamente al bozzettismo tipico della nostra commedia. Il poliziotto Pepe, benché sia un uomo giusto, è conscio dell’inutilità delle sue indagini, in un Veneto di maniera che è il regno dell’ipocrisia (sessuale in primis), un luogo dove vince sempre chi può spendere dei soldi in cambio della rispettabilità… Attenzione, però: il romanzo ha tutt’altra forza, non sa di modernariato ma è parente dei più riusciti esemplari del secondo Novecento. Il POV che Gennaro Pepe divide con Ugo Facco De Lagarda è mobile e complicato secondo la regola che ogni buon soggetto (letterario) di quei tempi porta su di sé i sintomi più o meno evidenti e alambiccati di una crisi.

A tutt’oggi, oltre al commissario, comparso per l’ultima volta allegato a Il Sole 24 Ore nel 2015 (in una domenica in cui curiosamente mi trovavo a Venezia, tornato alla Meridiana un secolo dopo – che si trattasse di una sorta di segno?), ho ripescato solo tre dei libri di Ugo Facco De Lagarda, La grande Olga, gli Scritti Cattivi, dove brilla molto il sorriso che avevo visto baluginare da ragazzino nel pergolato del ristorante Da Valentino – brilla qui in un ghigno; da ultimo mi rimane Il Villino dei Pioppi, di cui ho in mano una prima edizione acquistata in una libreria antiquaria a fianco del Teatro Malibran; sono convinto di averlo pagato troppo ma non è detto. Ecco: incomincio adesso a leggere Ugo Facco De Lagarda con più di mezzo secolo di ritardo. Spero che non se ne abbia a male e prima o poi mi inviti al suo tavolo, se non più da Cencio chissà dove.

A margine Segnalo intanto questo fondamentale post di Francesca Brandes apparso in questi giorni su èNordEst, in occasione  della ristampa per le edizioni Colibrì di due testi in prosa di Ugo Facco De Lagarda, la novella Le fauste nozze e il racconto Il concerto di Varsavia.

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