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Un memoir di tennis. In campo con Peppino Di Stefano, grande arbitro internazionale

Passeggiare per Capri con Peppino Di Stefano è un’esperienza unica: in Piazzetta come negli stretti vicoli pieni di negozi non c’è persona che non lo saluti. E lui ha una battuta per tutti perché conosce davvero tutti. Al punto che viene da pensare che sia lui il Peppino di Capri più famoso, non il cantante autore di alcuni capolavori del genere melodico.

“Maestro, complimenti per il libro” è la frase che abbiamo ascoltato più volte nei giorni scorsi. Sì, perché finalmente, dopo anni di attesa, Peppino Di Stefano ha pubblicato un libro, scritto con i giornalisti Marco Lobasso e Marco Caiazzo, in cui racconta la sua vita di arbitro internazionale di tennis. Forse il più conosciurto al mondo, visto che lui il mondo l’ha girato davvero tutto.

Sotto la sedia non è soltanto un libro godibilissimo, che si legge d’un fiato, ma uno spaccato di un mondo, quello del tennis professionistico, che è cambiato profondamente.

Di Stefano, che parla cinque lingue, ha arbitrato oltre 5000 incontri, tra cui 13 finali in 25 edizioni degli Internazionali d’Italia del Foro Italico, 32 incontri di Coppa Davis con 75 partite totali, compresa la finale del 1987 a Goteborg tra Svezia e India. È stato ufficiale di gara anche in due Olimpiadi, a Los Angeles 1984 e a Seul 1988.

Una carriera durata 38 anni, durante i quali ha incontrato molti dei più grandi tennisti della storia del tennis mondiale con cui ha instaurato spesso dei rapporti che andavano oltre il terreno di gioco.

Nella prefazione Nicola Pietrangeli spiega che “emozioni, sorrisi e qualche piccola lezione di vita si susseguono in queste pagine allegre, ricche di passione per il tennis. E se spunta un po’ di malinconia per i bei tempi andati e per gli anni che sono passati e che non torneranno, l’ironia, la battuta pronta e la simpatia di una persona come Peppino Di Stefano diventano protagoniste assolute di questi racconti leggeri ma intensi, che fanno bene al cuore”.

Sotto la sedia ripercorre tutta la carriera di Peppino Di Stefano, maestro di tennis al circolo di Capri, attraverso gli innumerevoli episodi di cui è stato protagonista.

Nel 1981 durante un’esibizione al Palazzo dello Sport di Napoli, Peppino arbitrava il match tra Adriano Panatta e l’indiano Vijay Amritraj, dal colore della pelle scurissimo, quando  durante il turno di battuta dell’italiano uno spettatore urlò: “Adrià, fallo niro niro!”. Panatta si bloccò, lasciò cadere la racchetta e cominciò a ridere, subito imitato da tutti gli spettatori. Amritraj non capiva il motivo di quella ilarità e si rivolse all’arbitro: “Peppino, cosa sta succedendo?”. Ma Peppino non trovò il modo di spiegarglielo.

Una volta al torneo di Milano al Palazzo dello Sport il rumeno Ion Tiriac, furioso per una palla chiamata fuori, andò sotto il seggiolone di Di Stefano, gli tolse una scarpa e andò a posarla sulla riga. Peppino si inventò un’ammonizione non contemplata dal regolamento: “Abuso di ufficiale di gara”. Tiriac, un omone di quasi due metri che metteva paura solo a guardarlo, ribattè: “Il giorno in cui io abuserò davvero di te non salirai più su quella maledetta sedia”.

Al torneo di Filadelfia ci fu un confronto duro con Jimmy Connors, allora numero uno del mondo. A un certo punto, dopo una decisione che non condivideva, Jimbo si rivolse a Di Stefano: “Sai quanti anni ho?”. “Lo so molto bene, ma io sono più vecchio di te” fu la risposta fulminante che mise fine alla discussione.

Nel 1981 Peppino arbitrò l’incontro di Coppa Davis a Lione tra Francia e Australia. E stabilì un record di durata sul seggiolone. Ecco il suo racconto: “La Coppa Davis è anche per noi arbitri un impegno faticoso e particolare perché, oltre alla lungaggine delle partite al meglio dei cinque set, intervengono anche fattori inusuali, come la pressione esercitata dalle due squadre in gioco, oppure fattori ambientali e anche politici”.

“Un tempo, infatti, non venivano designati arbitri neutrali, tanto è vero che molto spesso ho arbitrato l’Italia al Foro Italico negli anni ’70. A seguito della tempestosa finale persa dagli azzurri a Praga, con vistosi svarioni arbitrali, l’ITF prese la decisione di designare terne neutrali per la Davis. Fu così che nel marzo 1981, a Lione per Francia Australia, mi imbattei in Nicola Pietrangeli come giudice arbitro: fu, come si suol dire, il battesimo del fuoco”.

“Il primo incontro Noah-McNamara durò quattro ore e mezza; alla fine del match, oltre a farmi i complimenti, Pietrangeli mi informò che per un disguido l’altro arbitro italiano non era arrivato, e che quindi toccava a me arbitrare il secondo singolare. Le mie perplessità furono subito fugate dall’allora presidente della Federazione Francese ed anche dell’ITF Philippe Chatrier a cui oggi è dedicato il Centrale del Roland Garros, che a quei tempi spesso arbitravo; sfruttando il mio grande rispetto per lui, mi disse con un tono che non ammetteva repliche: ‘Peppinò, on a fait la regle pour les Italièn e maintenant mont sur la chaise’ (Peppino, abbiamo fatto la regola per gli Italiani e ora tu sali sulla sedia!). ‘D’accord mon president’ mi limitai a rispondere a quell’uomo così carismatico. Mi dovetti così sorbire Portes-Warwick, con il pubblico francese che urlava continuamente a Pascal Portes: ‘Pascalù, buffle!’ (mangiatelo); altre quasi cinque ore di gioco, con Nicola seduto sotto di me, che ogni tanto mi toccava il piede dicendo: ‘Ahò Peppì, ce sei?’. Game, set and match France, nove ore e mezzo, dopo esserci salito, scesi da quella sedia. Ho tenuto il record per molti anni, fino a quando l’arbitro spagnolo Javier Moreno mi superò”.

IL LIBRO Peppino Di Stefano, Sotto la sedia (LeVarie)

 

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