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Allonsanfàn
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Pietro Marcello. Le vele scarlatte o del prendere il volo, un giorno

Tessuti lunghi e antichi di donne d’altri tempi muovono tutte le scene di questo film.

Camini accesi scoppiettanti, villaggi di artigiani, una taverna in legno.

Paesaggi verdi di campagna, casolari e galline libere ne disegnano un decoro che ricorda gli anni Venti del XX secolo, quegli anni che poi scapparono in fretta: dal primo dopoguerra, a un’altra guerra.

Le scelte di camera sono notevoli, catturano le sequenze ben annodate di questa storia, tratta dal romanzo di Aleksandr Grin Vele Scarlatte, pubblicato nel 1923 in Russia, e tradotto solo nel 1961 in Italia. Il film del regista Pietro Marcello, con Juliette Jouan, Raphaël Thiery, Noémie Lvovsky e Louis Garrel, tra gli altri, è stato presentato alla Quinzaine des Réalisateurs al Festival del Cinema di Cannes l’anno scorso, per poi uscire in sala a inizio 2023.

Perché non crediamo più alla magia? Ne abbiamo forse ancora paura?

Siamo nel nord della Francia.

Giocattoli in legno, utensili rumorosi e impolverati.

“Che sai fare?”

“So lavorare il legno”, risponde Raphaël all’inizio del film, un uomo di ritorno da chissà dove, a casa, dalla sua amata Marie che però non c’è più. Al suo posto c’è la loro piccola Juliette, venuta al mondo da molto poco, accudita dalla signora Adeline.

Pietro Marcello ci fa sentire il profumo del legno appena intagliato fino in sala.

Si sente il profumo di botteghe dei falegnami, quei posti dove, lo si sa senza saperlo, qualcuno ha passato tanto tempo a lavorare, dove il tempo è sospeso e gli utensili sono come incantati.

Il film, e cento anni fa il romanzo, compongono un dolce climax letterario, dove si incrociano l’innocenza mai perduta di adulti (rari), e i voli immaginari di bambini sognatori.

L’adulto un po’ bambino è Papà Raphaël che, attento a sua figlia, le offrirà sempre il regalo più bello: un senso di libertà prezioso, che oscilla tra canti al mattino e composizioni del pomeriggio, di quel pianoforte vecchio e impolverato che lui stesso ha riparato alla sua Juliette.

Riuscirà, grazie a lei, a realizzare, come falegname per una bottega del villaggio, la sua opera magna, grazie alla quale sarà poi ricordato per sempre: un busto di donna fatto da un ciocco di legno, dal quale lui farà rinascere la sua Marie, e che sarà la figura di prua di una nave avventuriera con le vele scarlatte, partita alla scoperta del mondo.

Juliette, la protagonista, diventa grande, rimane una bambina libera: canta, crede alla magia buona dell’immaginazione che può tutto, fino a sognare la sua propria favola d’amore, tinta, anche lei, di scarlatto volante.

Una favola incantata dai colori del lago al tramonto, da verdi campi di fieno.

Pietro Marcello, dopo l’ultimo Martin Eden, tre anni fa, ci fa vedere una nuova impronta, una nuova attenzione particolare a un linguaggio cinematografico in costruzione, che, ne siamo sicuri, ci stupirà ancora.

Un’attenzione particolare va alla scena del giocattolo rotante, alla turbina al vento fatta di legno colorato, che Juliette fa girare attentamente, come fosse un proiettore cinematografico di altri tempi, un souvenir del Cinema Paradiso.

Viva la magia.

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