Esiste un cinema medio italiano, che produce film attuali, senza che siano appiattiti volgarmente sull’attualità, un cinema legato all’esposizione drammaturgica di un caso che potrebbe far parte di una pagina di cronaca.
Ivano De Matteo, per esempio, partito dal teatro nel 1990 (dal glorioso laboratorio di Perla Peragallo), ha organizzato il suo talento attorno a film dai temi forti, sui quali ha diviso le sue prove di regista di fiction e di documentarista.
Per esempio, ha parlato di stalking tra adolescenti (e dei differenti volti del maschilismo) nel recente Mia, di stalking tra adulti e di una madre in fuga ne La vita possibile oppure del rapporto malato tra genitori borghesi e figli scapestrati e “incomprensibili” ne I nostri ragazzi, figli forse colpevoli dell’omicidio gratuito di un senzatetto.
Ma ha provato anche la scommessa di un Whodunit speciale, come Villetta con ospiti, dove dietro alla storia gialla-noir cercava l’ignavia o una colpevolezza morale tra fantasmi dell’immigrazione e cittadini versati all’autodifesa armata…

Con Una figlia De Matteo torna a una trama e a una sintassi formalmente più quieta. Ho scritto sopra cinema medio (e non era detto in negativo) perché il film non ha la sperimentalità di una new wave indie (se esiste) e non ostenta la falsa camera in spalla del cinema-vérité, ma offre volutamente un linguaggio piano, consumabile da una platea più vasta possibile. Ecco: forse non è il cinema di De Matteo a essere medio, ma il pubblico a cui è diretto e a cui può provocare (posto che viviamo in tempi barbari) qualche emozione/riflessione.
Abstract di Una figlia. Pietro è un uomo di mezza età con la morte alle spalle: sua moglie lo ha lasciato solo con la figlia. Non ha avuto tempo per il dolore perché ha dovuto occuparsi di lei crescendola… Quando, dopo qualche anno, prova a rifarsi una vita con una nuova compagna, niente andrà come sognato. Anzi: la reazione della figlia sarà esplosiva e Pietro verrà messo a durissima prova. Spoiler: la figlia viene incarcerata con l’accusa di omicidio preterintenzionale per aver ucciso la compagna del padre. Il padre e la ragazza si trovano faccia a faccia, a dover ridiscutere il rapporto tra di loro e con il mondo, in questa situazione limite…
Per rendere credibile la storia e non ridurla a un insipido fotoromanzo alla Storia criminale, De Matteo moltiplica i suoi personaggi riflettendoli negli specchi e si appoggia a due attori in vena. Stefano Accorsi presta il suo viso da bravo ragazzo invecchiato a Pietro, senza aver mai timore del primo piano, in una gamma di variazioni di umore che trascorre dalla rabbia più disperata all’intenerimento improvviso – gli nuoce soltanto il paragone con il Vincent Lindon di Noi e loro che affronta e “impersona” un tema molto simile. La figlia è Ginevra Francesconi precipitata nell’inferno della contenzione – spogliata e scannerizzata da poliziotti e secondini, e dagli adulti in genere, che sembrano in ogni momento cercarle l’anima con il dubbio che non esista… (dal 25 aprile al cinema)