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Allonsanfàn
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La guerra senza fine di 1917 nell’occhio magico di Sam Mendes

1917 ci porta in Francia sui campi della prima guerra mondiale per due ore, che ne sintetizzano una dozzina, lasciando allo spettatore l’impressione di vivere la missione quasi impossibile di due soldati inglesi in tempo reale: questo grazie a un ininterrotto (falso) piano sequenza, che racconta la vicenda senza stacchi avvertibili della cinepresa – la tecnologia, almeno, ci nasconde ogni taglio, ogni discontinuità nell’azione. Questa scelta stilistica condiziona tutto quello che ci dice questo film spettacolare e coerentemente ambizioso.

Pure noi spettatori entriamo in guerra, compiamo privi di sosta la lunga e pericolosa marcia in territorio nemico per arrivare a portare il messaggio al colonnello MacKenzie e fermare così un attacco che finirebbe in massacro: i tedeschi, tutt’altro che sconfitti, hanno infatti teso una trappola agli alleati fingendo la ritirata. Pure noi ci muoviamo tra trincee desolate, infestate dai topi, e macerie di piccole città, tra camion impantanati nel fango e campi bruciati, dove i cadaveri dei caduti si decompongono accanto alle ossa dei cavalli, e il pericolo e la morte giungono improvvise da un cecchino disperso o da un duello aereo che ci passa sopra la testa.

Sam Mendes parte dai ricordi del nonno per firmare un film contro ogni guerra, che parla cioè di tutte le guerre, senza rinunciare a una grande accuratezza nella ricostruzione storica. Anche se non è la veridicità – il mero dato realistico – quello che conta. Certo, al soldato Schofield in dodici ore non è cresciuta neanche l’ombra della barba, ma chissenefrega…

Mendes crea la sua “grande illusione” affidandosi a due attori giovani e promettenti, George MacKay (CaptainFantastic) e Dean-Charles Chapman (Game of Thrones), a una fotografia d’altri tempi, di latte e di fuoco, a una colonna sonora sontuosamente tradizionale ma mai invadente. Ogni passo verso il fronte della battaglia che pare decisiva e invece può essere soltanto letale è il quadro di un videogame vintage; oppure la stazione di una Via Crucis cinematografica che mescola Spielberg e Kubrick con reminiscenze lontane (come il rombo degli aerei) di Jean Renoir. Ma senza tirarsela. La corsa finale, di traverso rispetto all’attacco, disperata e struggente, del caporale Schofield (vedi la foto sopra) merita di diventare famosa come la prima scena del Soldato Ryan e l’ultima di Full Metal Jacket.

American Beauty, Era mio padre, Revolutionary Road, i due ultimi James Bond: mago Mendes sa fare tutto al cinema perché respira cinema da sempre e ce lo rende a ogni passo. Ha sempre le idee chiare, vale a dire scrittura solida nel mettere insieme le parole e nel comporre in sequenza le immagini, ininterrottamente, come in questa storia; e in un film formato kolossal sa dare importanza alla storia di due piccoli anelli, in apparenza sottratti a un morto. Golden Globe meritati. Oscar, se arriveranno, pure.

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