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Allonsanfàn
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Laurie Anderson. Con Let X=X ritorna la cantatrice di storie

La notizia è che Laurie Anderson sarà in concerto a Ravenna il 7 giugno prossimo, unica data italiana. Se non casca il mondo, io ci sarò (Palazzo Mauro De André ore 21.30). Sarò là a farmi catturare ancora una volta dalla cantatrice di storie (autodefinizione) che riesce a trarre straordinaria linfa creativa dalla tecnologia. E con questo suo speciale talento ti porta via, dentro unvortice ordinato (per lei non è un ossimoro) di suoni e di immagini, scintille che corrono nella testa, frammenti di qualcosa che sembra provenire da qualche cosmico altrove. Sono curiosa di vedere dove è arrivata, nella sua continua evoluzione, la ragazza di Chicago approdata nella scena della New York underground anni Sessanta con l’assoluta convinzione che “l’artista deve essere libero”. La sperimentatrice multimediale così rivoluzionaria nell’uso degli strumenti (compresa la sua stessa voce, a volte nascosta, alterata elettronicamente, filtrata dal vocoder). Quella voce senza età. Innocente. Che però diventa anche la voce di metallo di un inquietante messaggero, o di una gelida segreteria telefonica (nell’ipnotico O Superman, diventato soundtrack della campagna anti-Aids del governo italiano nel 1990).

Libera. Laurie Anderson lo è stata sempre. Tanto da far saltare ogni etichetta che tentasse di imprigionarla. Violinista, performer, compositrice, cantante, scrittrice, regista, persino ventriloqua (lei dice “indossatrice di voci”). Tutto questo, certo. Tutto vero. Ma le definizioni non ce la fanno a definirla, nel frattempo la ragazza è già sconfinata più avanti, in quel mescolare immagini suoni e elettronica che fa interagire fra loro le cose:i punti che si toccano lungo la via, un viaggio che mi piace.

Guardo la sua foto sulla locandina. Oggi Laurie Anderson è una donna di 75 anni con tutte le sue rughe (merce rara, oggi, le rughe). È il bambino con le fossette sulle guance che giocando con i suoi strumenti s’è inventato il Tape bow violin con un nastro magnetico inciso al posto dei crini dell’archetto e una testina da registratore invece delle corde, e il Talking stick, il bastone parlante, una sbarra metallica riempita di circuiti elettronici che riproduce suoni diversi a seconda di come la si muove: lo ha  usato nel suo spettacolo dedicato al Moby Dick di Melville. Forse la Anderson è un alieno collegato con lo spazio (del resto è la prima, e forse unica artista ad avere vissuto come residente alla Nasa, dove ha scritto The End of the Moon, parte di una trilogia sulle ossessioni dell’America, la guerra, il potere economico, eccetera). Forse è uno strano angelo che usa quegli stranianti suoni spezzati per ammonirci che ”il linguaggio è un virus”, può infettare: concetto mutuato da William Burroughs e diventato il titolo dell’album Language is a Virus from Outer Space nel 1986.

Burroughs, Bob Wilson, John Giorno, scrittori e musicisti, Philip Glass, Brian Eno, John Cage “il cantore del silenzio”, Andy Warhol e la Factory: la Anderson li ha conosciuti tutti a New York, lavorandoappena uscita dall’accademia, come critica d’arte e intervistatrice. Lou Reed, invece, l’ha incontrato per la prima volta nel 1992 al Kristallnacht Festival di Monaco (memento della Notte dei Cristalli del 1938 che ha segnato l’inizio dell’Olocausto) dove entrambi suonavano in un concerto di John Zorn. Là, in quel di Monaco di Baviera Laurie Anderson e Lou Reed hanno scoperto di abitare a pochi isolati di distanza a New York, dove non si erano mai incontratiNon si lasceranno più, compagni di vita fino al 2013, quando Lou Reed muore.

Ho visto Laurie Anderson dal vivo due volte: in una freddissima mezzanotte di gennaio in Time Square a New York dove, imbacuccata in molta lana, suonava il violino nel concerto Music for Dogs (suonodiffuso a frequenze ultrabasse udibili solo da orecchie canine, mentre gli umani erano provvisti di cuffie per ascoltare la stessa musica). E a Venezia nel 2015,  a vedere il suo Heart of a Dog, un film sperimentale che ha diviso la critica: era o non era cinema quel collage di disegni, foto, ricordi, frasi, il tutto incentrato sul tema della perdita (del marito e della cagnetta Lolabelle)? Fatto sta che in sala, al di là della discussione accademica, sullo scorrere dei titoli di coda con la voce di Lou Reed in Turning Time Around, scorrevano furtive lacrime.

A Ravenna andrà in scena Let X=X  (titolo derivato da un brano dell’album Big Science del 1982), presentato come “performance tra teatro d’avanguardia e narrazione pop”. La Anderson sarà accompagnata dalla band newyorkese SexMob guidata da Steven Bernstein (noto per il suono old time che ottiene dalla tromba quando la usa da solista: la slide trumpet azionata non da pistoni, ma dalla coulisse, come un trombone). La band: Briggan Krauss, sassofono; Tony Scherr, basso; Kenny Wollesen, batteria; Doug Weiselman, clarinetto. Se non crolla il mondo (aggiungo: A Dio piacendo, Inshallah, e quant’altro) io ci sarò. Info sul Ravenna Festival

Credits per le foto di Laurie Anderson @ Stephanie Diani

 

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