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Il virus rende folli. E il peggio è la paura, secondo Bernard-Henri Lévy

Sul palco della Milanesiana a Palazzo Reale Bernard-Henri Lévy, filosofo, giornalista e saggista francese, 71 anni, dice che della pandemia che ci ha travolto ci sono anche aspetti positivi: «L’immagine di Andrea Bocelli che canta da solo per Pasqua nel Duomo di Milano o quella di Fedez e Chiara Ferragni che organizzano una raccolta di fondi online per gli ospedali rimarranno indelebili».

Poi però parte all’attacco. E ammonisce: «La pandemia non ha travolto solo la salute e l’economia. La pandemia ha travolto anche la nostra testa, portandoci a una specie di follia collettiva in cui si sono perse priorità, chiarezza di sguardo, obiettivi e capacità di giudizio».

Bernard-Henri Lévy è appena rientrato dalla Libia. Dove è andato per documentare le fosse comuni a Tarhouna: centinaia le persone uccise dalle milizie del maresciallo Khalifa Haftar.

A Milano presenta in anteprima mondiale lo spettacolo ll virus che rende folli, tratto dal saggio Ce virus qui rend fou edito in Francia da Grasset e appena uscito in Italia per La nave di Teseo.

«Ciò che mi ha raggelato di più non è stata la pandemia, perché queste disgrazie esistono da sempre» dice. «No, la cosa più sorprendente è il modo molto strano in cui abbiamo reagito questa volta. Ed è l’epidemia, non solo di Covid, ma di paura che ha attanagliato il mondo».

Lo scrive nel suo pamphlet, lo ripete a Palazzo Reale. «Da Hong Kong, dove sono scomparsi i manifestanti come per magia, ai Peshmerga guerrieri curdi rifugiati nelle loro trincee, a Hamas e al suo solo obiettivo di guerra: ottenere ventilatori da Israele, fino all’Isis, che ha dichiarato l’Europa zona a rischio per i suoi combattenti.

Una follia collettiva aggravata dai media e dai social network che ci martellano, giorno dopo giorno, coi numeri dei pazienti in rianimazione, dei moribondi e dei morti, portandoci in un universo parallelo dove non esistono più altre informazioni, rendendoci letteralmente folli: non è così che in fondo funziona una tortura cinese?».

Sono cinque i rischi sul piano sociale e morale del Covid-19 che Bernard-Henri Lévy individua nel suo saggio: la sanitarizzazione della società; l’idea di una “lezione del virus”, una sorta di lettura provvidenziale e punitiva della pandemia; l’apprezzamento del ritiro nelle proprie case, un confinamento prima noioso, poi sempre più protettivo; il riposizionamento dei valori della vita (per cui portare a spasso i cani è diventato essenziale, uscire a prendere un libro no) e infine la messa in secondo piano, anzi la neutralizzazione, di tutti i problemi del mondo, come se non esistesse altro che la pandemia.

«In Lacan e in Freud esiste una differenza tra l’ansia e la paura: la prima è buona consigliera, la seconda paralizza. Con il coronavirus abbiamo assistito a una paura mondiale».

E allo strapotere di medici e virologi. «Mai prima d’ora un medico si era invitato nelle case delle persone, ogni sera, ad annunciare come una triste Pizia il numero dei morti del giorno. Mai in Europa si erano visti capi di stato circondarsi di comitati scientifici».

Poi precisa: «Mi infastidiscono i chiacchieroni, e rendo omaggio a coloro che hanno prodigato le cure. Le infermiere e gli infermieri che facevano il loro lavoro negli ospedali erano ammirevoli. I medici che hanno invaso le televisioni e giocato a fare gli oracoli avrebbero fatto meglio ad astenersi».

Critico il filosofo anche sul lockdown. «Era necessario e l’ho rispettato. Ma avrebbe dovuto essere meno brutale e più differenziato. Mi hanno sorpreso gli italiani. Ne hanno passate tante: le Brigate Rosse, gli attacchi della mafia… Tanto orrore quotidiano che non ha mai impedito di uscire, continuare la vita. Questa volta sono stati docili. Hanno accettato di restare a casa senza fare storie né sgarrare. È come se fosse nato un nuovo patto sociale: scambiamo la nostra libertà per la massima sicurezza sanitaria».

E cita il padre dell’anatomia patologica Rudolf Virchow, che disse che un’epidemia è un fenomeno sociale che ha alcuni aspetti medici. «Dal punto di vista sociale, ciò di cui mi occupo, abbiamo rischiato molto. Un mondo in cui non ci stringiamo più la mano, in cui non seppelliamo più i morti, in cui diffidiamo l’uno dell’altro, va verso una regressione della civiltà. Ci deve essere un modo per combattere una pandemia senza cadere nella trappola dello stato di sorveglianza sanitaria».

Ora è il momento di fare un bilancio, «di recuperare un’idea di mondo e di vita più complessa e di tornare a vivere. Dobbiamo resistere a qualsiasi costo a questo vento di follia che soffia nel mondo».

Il virus che rende folli Bernard Henri Levy

“Se non conoscete nessuno che sia stato in terapia intensiva e vi permettete di instillare il dubbio che la pandemia sia stata fantascienza vi presento un mio amico che causa Covid ha dovuto subire un trapianto di polmoni a 18 anni. Poi fare silenzio ogni tanto non fa male eh”. (Tweet di Fedez, relativo ad alcune dichiarazioni sul Covid di Andrea Bocelli)

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