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Allonsanfàn
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Una poesia di Louise Glück (1943-2023). A Village Life

VITA AL VILLAGGIO

La morte e l’incertezza mi aspettano
come aspettano tutti, e le ombre mi valutano
poiché ci vuole tempo per distruggere un essere umano,
l’apprensione
va preservata –

La domenica porto a spasso il cane della mia vicina
così lei può andare in chiesa a pregare per la madre malata.

Il cane mi aspetta sulla soglia di casa. Estate e inverno
facciamo la stessa strada, di mattina presto, ai piedi della scarpata.
A volte il cane si allontana – per un attimo
non lo vedo, nascosto dagli alberi. È molto orgoglioso
di questo dispetto che mi fa qualche volta
e poi ci rinuncia come se fosse un favore personale –

Dopo, torno a casa mia per raccogliere legna da ardere.

Tengo a mente le immagini di ogni passeggiata:
la monarda cresce sul ciglio della strada;
appena è primavera il cane insegue i topolini grigi

così per un attimo sembra possibile
non pensare che la forza del corpo si affievolisce,
che le proporzioni del corpo tendono al vuoto

e le preghiere diventano preghiere per i morti.

A mezzogiorno, le campane della chiesa tacciono. Luce eccessiva:
la nebbia copre ancora i campi, così non puoi vedere
la montagna lontana, coperta di neve e ghiaccio.

Quando riappare, la mia vicina pensa
che le sue preghiere sono state esaudite. Con tanta luce, non riesce a controllare la sua felicità –
scoppia di parole. Ciao, grida, come se fosse
la sua migliore traduzione.

Lei crede nella Vergine come io credo nella montagna,
sebbene in un caso la nebbia non si alzi mai.
Ma ogni persona ripone la sua speranza in un posto diverso.

Mi faccio la minestra, mi verso un bicchiere di vino.
Sono tesa come un bambino che si avvicina all’adolescenza.
Presto si deciderà con certezza chi sei tu,
una cosa sola, o maschio o femmina. Non più tutt’e due.
E il bambino pensa: voglio aver voce in capitolo.
Ma il bambino non ne ha in ogni caso.

Quand’ero una bambina, non l’avevo previsto.

Più tardi, il sole tramonta, le ombre si addensano,
facendo frusciare i cespugli come animali che si svegliano per la notte.
Dentro, c’è solo la luce del fuoco. Svanisce lentamente;
ora solo il legno più pesante riluce
davanti agli scaffali degli strumenti.
A volte sento la loro musica, anche se sono chiusi nelle custodie.

Quand’ero un uccello, io credevo che sarei stato un uomo.
Questo è il flauto. E il corno risponde,
Quand’ero un uomo, io gridavo per essere un uccello.
Poi la musica se ne va, insieme al segreto che mi confida.

Alla finestra, la luna pende sopra la terra,
senza alcun senso ma piena di messaggi.

È morta, è sempre stata morta,
ma ha la pretesa di essere qualcos’altro,
di bruciare come una stella, e in modo convincente, così a volte senti
che potrebbe far crescere sul serio qualcosa sulla terra.

Se esiste un’immagine dell’anima, per me è questa.

Mi viene naturale muovermi al buio
come se ne facessi già parte.

Sereno e fermo, è il nuovo giorno all’alba
Se è un giorno di mercato, porto al mercato la mia lattuga.

Trad. L.M. Sul New Yorker, il testo originale, qui

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