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Allonsanfàn
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E ora per vendere i giornali ti promettono (pure) la felicità

Oggi mi ha scritto la Repubblica. Niente di personale s’intende. La stessa mail l’hanno ricevuta qualche centinaio di migliaia di persone che come me hanno sottoscritto un abbonamento.

In realtà mi ha scritto Gedi, la nuova mamma di Repubblica. Poiché è preoccupata per via della retention, quella cosa che ha che fare con la fedeltà di consumo, mi propone di partecipare al programma GEDI SMILE (Gedi scritto tutto maiuscolo), il Club (maiuscolo) che si prefigge di sorprendermi ogni giorno regalandomi premi, vantaggi e emozioni (senza la “d” eufonica) continue. Perché, prosegue Gedi, “la felicità è un’abitudine quotidiana”.

Ora, come ben sa chi continua a seguire queste noterelle, di mestiere faccio l’artigiano della comunicazione da una certa. Continuo a farlo a dispetto dell’ostentata ricchezza che una munifica pensione di Stato mi garantisce al di là dei miei (modesti) meriti, in ragione del fatto che, come diceva Eugenio Scalfari il Grande a) il mestiere mi porta b) se continuo a lavorare cercando di dare il meglio forse rincoglionisco qualche mese più tardi c) l’artigianello della parola è un mestiere bellissimo (a patto che te lo lascino fare, ma questa è un’altra storia).

Ovviamente “sono andato a scoprire il programma”, come si dice oggi, usando il verbo andare anche se si sta perfettamente fermi. Non potevo non farlo: si tratta della famosa “call to action”, il punto di arrivo di ogni imbuto promozionale che il sagace web marketer coadiuvato da un ancor più astuto copy-writer ha preparato a mo’ di ulissiaco trappolone. Tralascio le promesse, il “bel regalo”, i “tanti vantaggi per me” e persino i “play&win” (quando mai il regalo non è stato bello e i vantaggi copiosi?) e vado al dunque: cosa vuole Gedi da me? Presto detto: vuole il mio tempo. Esattamente come lo vogliono Facebook, Instagram, Google. Ma anche se FB e compagnia cantante non retribuiscono il mio lavoro (cfr. Maurizio Ferraris, Documanità. Filosofia del mondo nuovo, Laterza) qualcosa in cambio mi dànno: per esempio la possibilità di farmi leggere e, a mia volta, di sfaccendare leggendo le altrui noterelle e commenti. Ma Gedi, oltre “bel regalo” e di “tanti vantaggi per me”, che mai mi darà?

Chi da molto tempo fa un mestiere che ama – il pubblicitario, il calzolaio, l’ortopedico, il taxista o il venditore ambulante di elefanti – conserva una memoria automatica. Chi da molto tempo sta nel mondo della comunicazione ricorda il cross-selling applicato ai settimanali, le cassette appiccicate ai giornali (si comprava l’Unità, si guardava il film e si usava il giornale per pulire le finestre); ricorda i duecentoquarantasei club inventati per vendere spazzolini da denti; ricorda le segmentazioni cervellotiche in cluster dei clienti di questa o quest’altra banca; le cento e mille e centomila puttanate escogitate nel lodevole quanto inutile tentativo di conquistare un frammento di quota di mercato e, soprattutto, di fedeltà in più. “Creatività pubblicitaria” versata nel pozzo senza fondo delle idee inutili, fabbrica di cinture di castità per “fidelizzare” il cliente e metterlo al riparo dalle tentazioni.

Una sorta di stalking che il povero vecchio brand agiva disperatamente, impossibilitato – come un vecchio maschio bianco irrimediabilmente vicino alla linea del fuori gioco – a contenere i friccichi della novità, la risposta a una nuova e più irresistibile promessa di consumo. Gedi con raro sprezzo del pericolo (o del ridicolo?) promette “felicità quotidiana”. Nonostante la miriade di invereconde cazzate presentate negli anni trattenendo il fiato (“qui ci sgamano e ci fanculano al volo”) a memoria d’uomo a tanto non si era mai arrivati: “felicità quotidiana”, neanche si trattasse di una campagna Pfizer contro la disfunzione erettile…

Gedi mi ha assicurato che mi sorprenderà ogni giorno regalandomi “premi, vantaggi e emozioni continue!” col punto esclamativo. Io che non posso nemmeno definirmi ragazzo del secolo scorso ché il copyright l’ha già preso la signora Rossanda, mi accontenterei del premio di una buona scrittura e del vantaggio di firme autorevoli; e per quanto riguarda le emozioni mi accontenterei dell’assenza: nella fattispecie di refusi, svarioni e baggianate assortite di cui oggi il “mio” giornale è pieno come un uovo pasquale. Come insegnava il mai abbastanza compianto Arbasino a proposito del Trovatore verdiano (“sembrava impossibile far di peggio, eppure ci sono riusciti”) quel che mi sbalordisce è la miseria concettuale dell’offerta gediana forse più ancora della povertà lessicale che la esprime: inevitabile pensare che gli specialisti del marketing digitale non sappiano neppure lontanamente a chi stanno parlando. Un linguaggio non so se più banale o modesto che – con tutto il rispetto – neanche i coatti abituati come sono alle raffinatezze dei giochi online. Eppure in Gedi dovrebbero sapere tutto di noi, i loro abbonati: siamo o non siamo “profilati” all’atto stesso della sottoscrizione?

Questa simpatica vicenda mi riporta indietro di trenta, quarant’anni, al tempo del famoso marketing bancario, l’Araba Fenice che pur rinascendo dalle sue ceneri non prese mai il volo. Le banche, allora come oggi, pur disponendo di un’enormità di dati sui clienti non hanno mai saputo produrre forme di comunicazione basate sulla relazione, neppure in dosi omeopatiche. Eppure non dovrebbe essere così difficile comprendere che, esclusi gli imbecilli, la “felicità quotidiana” non te la dà un giochino promozionale. Come andrà a finire, verranno promossi i dioscuri digitali che sgovernano le iniziative Gedi? Un po’ di pazienza e di certo verremo a sapere se sono stati giorni felici.

credit foto in apertura: “giornali” by Il Fatto Quotidiano is licensed under CC BY-NC-SA 2.0

 

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