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Allonsanfàn
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La sparizione della sinistra (e di un omino dei cartoni)

Il Partito Comunista Italiano non andò mai direttamente al governo ma lo fecero le formazioni che da quel partito ne derivarono a partire dal ’90, anno del suo scioglimento. I derivati però risultarono sempre meno di “sinistra”, almeno nel senso che il ventesimo secolo ha assegnato al termine, tra socialismo francese e socialdemocrazie scandinave, teutoniche e anglosassoni. Per una quindicina di anni, le forze di “sinistra radicale” trovarono rifugio nel bertinottismo di Rifondazione Comunista. Consumata però da scissioni su scissioni su scissioni fino all’invisibilità numerica, è sparita dai radar elettorali sia Rifondazione sia quelli che furono i frutti delle sue scissioni e delle scissioni che derivarono da quelle scissioni. Alle ultime elezioni amministrative a Roma, ma non solo, si sono presentati cinque partiti comunisti la cui somma di voti è inferiore al 2%. Ma anche la sinistra che si è presentata sostenendo da subito il candidato del Pd si è attestata intorno a quella cifra. Anche i più “tosti” devono prenderne atto: la sinistra è ormai un concetto soltanto “in pectore”.

È evidente che la parola sinistra, e ancora di più anticapitalismo, ribellione, insorgenza, queste parole provocano ribrezzo nella quasi totalità degli interlocutori. Che le sostengano uno o cento partiti, che siano partiti della sinistra di lotta pura e dura o partiti di sinistra ma pronti anche a governare con questo o quello, insomma, gli elettori ce l’hanno non soltanto fatto capire, per poco non lo scrivevano direttamente sulla scheda votando, ci hanno esplicitamente detto: “Ci state sulle palle, perditempo, sciò sciò, annatevene che qui c’avemo da lavorà”.

Allora c’è solo una possibile via d’uscita a questa incresciosa situazione. Sparire.

Così, d’improvviso, non parliamone più. Non attacchiamo pipponi (lunghi discorsi che spazientiscono l’ascoltatore con introduzione svolgimento e conclusioni, della scuola De Saussure romana) sulla violenza del capitale che sventra persone e natura, non proponiamo lavori forzati per quelli che ti licenziano da un giorno all’altro per andare a sfruttare altri popoli più poveri, non arricciamo il naso quando ci parlano del sogno americano e della grandezza della Nato. Non chiediamo più al salumiere sotto casa, quello con villa a due piani, tre Suv, moglie amante e tre figli più stronzi di lui, quando si lamenta che il problema del Paese è l’evasione fiscale. di farci vedere la sua dichiarazione dei redditi. Stiamo zitti. Magari fischiettiamo. Evitiamo di farci riconoscere.

Anzi, non salutiamoci nemmeno più per strada quando c’incontriamo. È meglio.

Poi, tipo quando sei al bar, uno parla di barboni, tu butti lì una cosa del tipo “magari prima aveva un lavoro”, oppure quando si parla d’immigrati sul bus inserisci un “nel suo paese sarebbe morto di fame”, la butti sul compassionevole. Si possono ancora vivere bei momenti sociali poi quando si parla delle banche, lì pure a destra sono d’accordo, dài una stoccatina ai ricchi, ma così, sul bonario, fai finta che non li odi. E poi fai lo stesso nei posti di lavoro, con aria da finto tonto difendi un collega ingiustamente ripreso da un superiore, compari il tuo stipendio con quello di una colf ma con un sorrisetto senza pretese.

Sia perché non sappiamo che dire di realmente serio per cambiare la società neanche tra di noi e sia perché comunque nessuno vuole più ascoltare questa roba qua. Poi se ci si presenta l’occasione individualmente di sostenere un punto di vista “non di destra” in una discussione sapremo che fare, ma mai più pensando di rappresentare qualcosa di diverso da noi stessi.

Mi sembra la via d’uscita più dignitosa.

Cercasi vecchio personaggio nato nellest

Nella mia infanzia rovinata dalla madre di tutte le fake news, quella per cui nei film western erano gli indiani quelli cattivi e quindi avevo tifato nei miei anni più formativi per degli assassini prezzolati sterminatori degli indigeni, durante quell’infanzia lì, la domenica pomeriggio dei primi anni ’70 la televisione trasmetteva un cartone animato tristissimo.

Era diverso, già nel tratto molto sottile del disegno, da quelli occidentali e infatti proveniva da un Paese del blocco comunista, non ricordo se Polonia o Ungheria, credo che successivamente abbiano internato e fucilato l’autore come si usava tra noi che proveniamo da quella cultura. Il protagonista del cartone era un omino insignificante e stava tutta là la faccenda. L’omino la domenica andava in giro da solo per la sua città e cercava di unirsi ai tanti capannelli di persone che discutevano. Ma niente, nessuno se lo filava, lui era gentile e ascoltava ma non lo facevano mai parlare, era come se non esistesse. Passava da un gruppo all’altro cercando di attirare l’attenzione ma niente. Allora un giorno decide di scomparire come rivalsa per la mancanza di socialità dei suoi concittadini.

Passano alcune settimane e le persone che compongono gli abituali capannelli avvertono la mancanza di qualcosa, che c’è una diversità nella routine delle domeniche del villaggio. Non c’è più quel signore gentile che salutava tutti e aveva sempre un sorriso durante le discussioni. Capiscono allora di aver sbagliato, di essere stati cattivi e sprezzanti, asociali, e decidono, per rimediare, di dedicare un monumento all’omino scomparso. Soltanto che nessuno si ricorda com’era fatto l’omino gentile e quindi il cartone finisce mostrando un monumento che ha soltanto la base, mostrando l’invisibilità dell’esistenza mentre nei capannelli si ricomincia a parlare come prima.

Per fortuna all’epoca non esistevano mezzi come internet per informarsi, altrimenti credo che avrei consultato uno di quei siti che ti consigliano come suicidarti senza sporcare troppo in giro, fu devastante. Però oggi la lezione di quel terribile cartone animato (se per caso qualche lettore della mia generazione si ricorda l’autore e il titolo scriva alla redazione di Allonsanfàn, dovremmo riscoprire il genio che lo ha realizzato) è tornata attuale con l’estinzione della sinistra.

Perché secondo me se riusciamo a sparire del tutto prima o poi qualche giornale si chiederà: ma che fine hanno fatto quelli che volevano rovesciare il capitalismo? Qualche settimanale d’inchiesta sosterrà che un tempo esistevano i comunisti e i socialisti organizzati, ma verranno accusati di essere complottisti. I più anziani però ricorderanno che, come un rumore di fondo, c’era sempre qualche rompicoglioni nelle discussioni che voleva abolire la proprietà privata, era contrario a tutte le guerre, delirava di una società di uguali. Allora dopo magari per senso di colpa ce lo fanno pure a noi che eravamo la sinistra il monumento. Solo la base però, per ribadire l’invisibilità.

Credit: umarell by vanz is licensed under CC BY-SA 2.0; quarto stato by LucaP is licensed under CC BY-NC 2.0 Lenin Statue outside Finland Station – St. Petersburg – Russia  by Adam Jones, Ph.D. – Global Photo Archive is licensed under CC BY-SA 2.0

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