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Mani Pulite, una storia che già conosciamo

“Noiosissimo”, “Lo sto divorando”. Preceduti da questi due giudizi estremi pubblicati su Twitter, il primo di un docente universitario, l’altro di un collega giornalista si suppone non nemico, abbiamo affrontato la lettura del libro Il tempo delle mani pulite (Laterza) di Goffredo Buccini che, da giovane cronista, si sfangò il periodo clou dell’inchiesta milanese. Ed è proprio la vita del cronista e del mondo dei giornali di quel periodo a rappresentare la parte più interessante di un libro difficile da “divorare” perché racconta una storia che tutti noi di una certa età conosciamo bene senza offrire nuovi squarci di verità.

Goffredo Buccini Il tempo delle mani pulite Laterza
“La giudiziaria è finita” è l’incipit di Buccini che ricorda molto la cronista milanese di tanti anni fa che un pomeriggio disse: “Oggi non succede nulla, ne approfitto e vado dal parrucchiere”. Era il 12 dicembre 1969, giorno della strage di Piazza Fontana. Partendo da quella frase foriera di noia e di una carriera non promettente, Buccini si trova coinvolto in quella che a seconda dei punti di vista viene definita come una rivoluzione oppure un colpo di Stato.

C’è l’arresto di Mario Chiesa, proprio il giorno dell’anniversario di nozze di Buccini che abbandona il proposito di una gita al lago con la moglie e si fionda a palazzo di giustizia; c’è quel giudice molto bizzarro, Antonio Di Pietro; ci sono le elezioni di mezzo che provocano uno sconquasso con la fine del pentapartito e l’arrivo della Lega e un’inchiesta che all’inizio non appare a molti così interessante.

Cosa succede dopo lo sappiamo e l’esplosione è tale che i cronisti giudiziari, nemici acerrimi sempre in cerca di uno scoop, devono unire le forze. A molti questa cosa non è mai piaciuta, ma la mole di notizie che arrivavano da tutte le parti, il pericolo di polpette avvelenate, la pressione a cui erano sottoposti i giovani giornalisti e la necessità di non giocarsi la carriera fanno sì che dall’iniziale schieramento Corriere-Giornale contro Repubblica e gli altri si passi a un gruppo unico dove le notizie sono condivise e nessuno tira a fregare i colleghi.

Magari quella cosa ai capi non piace ma al fronte ci stanno loro e si regolano così. Un po’ come sta succedendo in questi giorni negli Usa dove, di fronte alla mole dei documenti sulle attività discutibili di Facebook, giornalisti di Cnn, Associated Press, Fox, Nbc e altri si sono riuniti in un gruppo su Slack per coordinarsi con le uscite e discutere del copioso materiale.

La vita da cronisti di quei giorni è pesante. Le giornate finiscono la sera tardi al ristorante per discutere l’evoluzione dell’inchiesta e, secondo altri racconti, qualcuno si fa anche un giro in qualche locale notturno ben frequentato per carpire altre notizie. I giornalisti impegnati sul campo sono tutti con i magistrati. Destra e sinistra non fa differenza, spingono il mito Di Pietro, l’affascinante Colombo, il rude D’Ambrosio, il durissimo Davigo e l’elegante Borrelli.

Troppo impegnati nella cronaca quotidiana i cronisti non si fanno domande e subiscono il gioco di Di Pietro, la tattica della procura che se non parli ti manda in galera, il gip che da terzo diventa parte del pool e altro.

L’autocritica di Buccini non è una novità. Anche Giulio Anselmi di recente ha ricordato gli eccessi dei giornalisti italiani sempre a favore della procura milanese. Giornate affannate, nuovi protagonisti (ve la ricordate Titti Parenti?), direttori, capi e colleghi scorrono nelle pagine dove si trovano episodi curiosi che raccontano la commistione fra giornalisti, magistrati e forze dell’ordine. Buccini che in auto con Colombo e Davigo va al funerale della mamma di Di Pietro, Buccini che in compagnia di un paio di carabinieri va a Santo Domingo per assistere in diretta alla cattura di un latitante e rischia una topica da leggenda. Poi c’è un Sallusti, cronista di razza, che con Buccini va a Santo Domingo per scoprire e trovare l’inafferrabile Giovanni Manzi, socialista. E il racconto della ricerca è molto divertente.

L’inchiesta, inizialmente sottovalutata soprattutto dal vertice dei giornali, avanza a fa disastri. Si va sempre più in alto e a un certo punto l’obiettivo appare chiaro: Bettino Craxi. A scompaginare ulteriormente le carte arriva la discesa in campo di Silvio Berlusconi che apre la pagina del possibile coinvolgimento di Di Pietro e Davigo nel governo.

C’è tutto il protagonismo dei magistrati che, come i virologi di molti anni dopo, non rinunciano mai alla battuta o all’intervista. Il decreto Salvaladri porta la gente in piazza a favore del pool, lo scontro fra politica e giustizia si fa sempre più forte. E il gruppo di cronisti inizia a essere meno unito di un tempo: si riformano le vecchie squadre e ognuno va per conto suo. Rapporti si allentano e amicizie si rompono.

E i libri servono anche per riconoscere gli errori del passato nei confronti di qualcuno. Lo show down è l’avviso di garanzia nei confronti di Berlusconi e l’uscita di Di Pietro dalla magistratura rispetto alla quale rimangono solo illazioni e nessuna certezza. Il problema de Il tempo delle mani pulite sta proprio qui. Buccini, ma potremmo dire lo stesso per il libro della Boccassini, non si stacca dalla cronaca dei fatti che ben conosciamo. E oggi forse ci vorrebbe qualcosa di più. Una narrazione diversa, se possibile, un’analisi differente che cambi la visione del periodo o almeno ne introduca qualche nuovo elemento. Molte domande rimangono sempre senza risposta.

Il libro. Goffredo Buccini Il tempo delle mani pulite (Laterza)

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