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Quirinale, la parata dei bocciati e il migliore prende 6

Molti anni e chili fa ho lavorato a Società Civile, un mensile milanese diretto da Nando dalla Chiesa, che in epoca pre-Tangentopoli si mise in testa di dare le pagelle ai politici milanesi. Allora i protagonisti non la presero bene e l’idea delle pagelle mi è rimasta in testa. Così, con incredibile presunzione, la ripropongo applicata ai protagonisti di questi giorni che sono riusciti a farci dimenticare l’assenza del campionato di calcio nel weekend.

Maria Elisabetta Alberti Casellati. È la mia preferita. Da oscuro avvocato di provincia di Padova diventa parlamentare e, incredibilmente, presidente del Senato carica che non è – come ha detto Salvini – il vicepresidente della Repubblica che non esiste, ma è comunque la seconda carica dello Stato. Un’altra si sarebbe baciata i gomiti e avrebbe cercato di esercitare al meglio il suo ruolo, non lei che sbraca. Qualche viaggio con l’aereo di Stato in Costa Smeralda, addetti stampa fatti fuori uno dopo l’altro, sfuriate con il personale del Senato, Ruby nipote di Mubarak ribadito in tv, a cantare l’inno davanti al Palazzo di Giustizia di Milano, quella pelliccia ridicola. Riesce a stare sulle palle a tutti anche se l’intrepido Salvini arriva a dire che è una candidatura super partes. Come fare arbitrare al sottoscritto un Inter-Juventus, Cuadrado espulso al momento in cui mette piede nello stadio. E quando sempre quella volpe di Salvini la candida alla presidenza della Repubblica lei addirittura ci crede ma in molti iniziano a sedersi sulla riva del fiume. La Bernini dice che i voti ci sono mentre un altro di Forza Italia racconta che la prima a non votarla sarà lei perché qualche giorno prima hanno avuto uno scazzo clamoroso. Lei sa che nel partito non è molto amata e allora spara whatsapp a raffica per farsi votare e con sagacia politica parla anche con Zanda del Pd offrendogli la presidenza del Senato, che bontà sua lascerebbe libera, in cambio di un pacchetto di voti. I forzaitalioti però non la reggono, così come Toti e compagnia. Con sensibilità istituzionale pari a zero presenzia alla votazione, controlla i voti, e manda messaggi. Finisce malissimo. Ma non si rassegna, forse perché di politica non capisce nulla, insiste perché la candidatura sia ripresentata. La prendono da parte e, come dice un mio amico, le spiegano due cose. Si rassegna. Se vi siete svegliati male pensate al clima in casa Casellati e riprendetevi. Inclassificabile.

Matteo Salvini. Quando il gioco si fa duro, i finti duri iniziano a mollare. La prova generale sono state le elezioni di Milano. Anche lì si intesta il ruolo di kingmaker. A settembre inizia a dire che sparerà un candidato della società civile che Sala neanche lo vede. Iniziano a venire fuori nomi pressoché sconosciuti e bruciati uno dopo l’altro. Albertini e Lupi sono gli unici validi ma lui, sagace, li fa fuori. Prosegue con qualche personaggio inesistente e alla fine il coniglio dal cilindro è Bernardo. La campagna elettorale in pratica non si fa, troppo facile per Sala. Non contento ci riprova con il Quirinale e il bello è che glielo lasciano fare. Subisce la candidatura di Berlusconi e poi inizia a sparare nomi a raffica che sono super partes solo nella sua testa. La Moratti, per esempio, dovrebbe diventare Presidente della Repubblica, perché? E Nordio, chi è? A un certo punto sembra che stia sfogliando il who’s who italiano per trovare un nome, uno qualsiasi. Si parla di un incontro con Cassese, poi di un altro con uno che neanche ricordo. Dice di lavorare come un matto, il suo telefonino è sempre accesso, ma una bella dormita gli gioverebbe. Così non farebbe la cazzata di proporre la Casellati che non ha chance. Giorgetti, che al suo cospetto sembra un titano del pensiero occidentale, dice che si tira fuori. Un altro racconta che il Capitano va bene per comizi e selfie ma per il resto meglio lasciare perdere. Centinaio, un fedele, dice che non ci sta capendo nulla. Quando tutto sembra perduto l’uomo che per sfottere la Boldrini ha portato sul palco una bambola gonfiabile, spiega che è venuto il momento di una donna. E infatti arriva Mattarella. 4, 3, 2, 1 scegliete voi il voto.

Enrico Letta. Fin dall’inizio di questa storia si sapeva che il Pd avrebbe preferito rimanere con Draghi e Mattarella o, in subordine, con Draghi alla presidenza della Repubblica. Ma mentre Salvini si affanna a sparare nomi uno dietro l’altro Letta abbozza, respinge le candidature della destra, insegue Conte e non prende mai il pallino in mano. Forse è un genio della politica, ma più probabilmente cerca di capire cosa sta succedendo e fa passare il tempo che gioca a suo favore. Ogni giorno che passa è un dolore in più per Salvini. D’altronde è facile, Berlusconi è improponibile e la Casellati non va giù persino alla destra. Però dimostra di avere naso perché al momento giusto cala l’asso della rosa del Pd che si intende benissimo dove va a parare. Certo, c’è Conte che capisce di politica come il sottoscritto di fisica nucleare, ma Salvini è stremato, non sa più cosa fare e torna Mattarella. Adesso però bisogna rimettere in piedi l’alleanza con i 5 Stelle. Sarebbe un 7 per il risultato finale, ma ha giocato contro un avversario troppo stupido, quindi 6. Non elimina però i dubbi sul suo conto.

Giuseppe Conte. Che non sia un’aquila lo avevamo intuito. Capace di barcamenarsi per stare al potere, passando da Salvini al Pd, semplicemente non sa fare politica. Non la capisce e in più non ha in mano il partito. Un gruppo dove per molti l’imperativo è “non facciamo finire la legislatura perché ho bisogno di questo stipendio” è troppo difficile da tenere unito. Soprattutto per lui che sta in mezzo fra Grillo che ogni tanto si fa sentire e Di Maio che nel frattempo qualche cosa sulla politica ha iniziato a capire. Quando Salvini sembra morto riesce ad aiutarlo seguendolo sul candidato donna, ma la Belloni, gran donna senza dubbio, si occupa di servizi segreti. Non proprio il massimo in un Paese dove non si capisce se i servizi deviati siano quelli buoni o cattivi. E poi non si presenta al vertice di maggioranza dove si decide per Mattarella. Spara supercazzole nelle interviste e alla fine non incide. In politica non ha un grande futuro, le prossime elezioni faranno giustizia. 3

Matteo Renzi. È il grande assente di tutta questa storia. Il campo di gioco sarebbe il suo, sono momenti in cui prevale la tattica sulla strategia e di questo lui è maestro. Come quando, dopo mesi che litigava con la sinistra Pd, spara il nome di Mattarella che provoca l’entusiasmo di Rosy Bindi e simili e fa incazzare i suoi nuovi amici di Forza Italia che lo ammazzano sul referendum, azzoppando la sua carriera politica. 45 voti non sono pochi ma non abbastanza per incidere, soffre il protagonismo di Salvini, sa che non può fare molto. Fino a quando si imbizzarrisce, giustamente, per il nome della Belloni. Improvvisamente scopre di avere una sensibilità istituzionale, chi l’avrebbe detto, e dice no. Non è il solo e la candidatura sparisce. In questa fase è sembrato quasi un politico normale. Che ci stia sulle palle o meno si è sentita la mancanza della sua mano. Rispetto a Salvini non c’è gara. 5

Silvio Berlusconi. Fa il Berlusconi. Quello che del Paese non frega nulla e pensa solo a se stesso. È ovvio che è improponibile, ma costringe i suoi sudditi, pardon alleati, a proporre la sua candidatura per poi fare il grande passo indietro per l’interesse del Paese. Fregnacce. Nel frattempo si comporta come il venditore che è sempre stato telefonando in giro per raccogliere consensi. Corteggia la Boschi e telefona a Luciano Nobili di Italia Viva scambiandolo per Ciampolillo, senatore grillino passato al gruppo misto. Dice che gli piacerebbe incontrarlo con qualcuna delle sue ragazze, sa che lui è sensibile. Poi si accorge che non è Ciampolillo e dice a Nobili che comunque le ragazze ci sono anche per lui. Questo è il livello. Si sorbisce una Casellati incazzata che perora la sua candidatura e le dà il via libera tanto sa che non andrà da nessuna parte. In Forza Italia c’è spazio solo per lui. Capisce che Salvini è bollito e riprende in mano il pallino delle trattative per il suo partito, l’unica idea buona. Sotto il 5 va bene tutto.

Giorgia Meloni. Pensavo volesse recitare un ruolo di primo piano, invece continua a stare appollaiata sulla spalla di Salvini mentre quello si agita, sbraita e suda. Il suo problema è che guida un partito pieno di fascisti, ma questo è un dettaglio, che sta all’estrema destra ed è l’unica opposizione. In questo modo diventa difficile interloquire con le altre forze politiche, soprattutto quelle di sinistra ovviamente. O c’è un nome sul quale convergono tutti, impossibile, oppure tu stai all’esterno perché se no la maggioranza si spacca. A te andrebbe bene perché così si va alle elezioni che invochi un giorno sì e l’altro pure, ma a mezzo Parlamento, che non sarà rieletto, questa cosa non piace. Così stai lì e continui a cercare di approfittare delle stupidaggini di Salvini e provi con un Crosetto che a qualcuno di sinistra piace, lo dipingono come un liberale addirittura, ma non vai lontano. Giorgia Meloni è più intelligente di Salvini, gode della rendita di posizione, ma verrà il momento in cui dovrà essere protagonista e allora si vedrà il suo spessore. Il risultato comunque è che il centrodestra è spaccato anche se è vero che è più capace degli altri di rimettersi insieme. Ma è roba di facciata. Come dimostra il governo Berlusconi-Fini-Bossi i nodi vengono al pettine. Alla fine la Meloni non sappiamo ancora bene chi sia. Per ora, 5.

Foto in apertura: l’applauso dei grandi elettori all’annuncio della elezione di Sergio Mattarella a capo dello Stato.

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