Domanda. Ma quanti Batman, tra prequel e sequel, reboot e remix, interpretazioni fumettistiche o filmiche e tv esistono, pronti a offrirsi agli occhi di uno storico o di un anziano fan dell’Uomo Pipistrello disegnato su carta da Bob Kane e impersonato “in movimento” da Adam West, quello in tuta grigia che quando sferra un pugno si vede sul video la nuvoletta con su scritto “ka-pov”?
Risposta. I Batman sono una schiera quasi incalcolabile di varianti sul tema a partire da un ceppo originario e ora se ne affaccia una interessante per quanto tacciabile di un certo manierismo: non inventa davvero, ma reinterpreta molto e con gusto. The Batman che esce il 2 marzo, con l’articolo davanti come nell’originale a balloons (esordio nel lontano 1939), è partito come un reboot su copione di Ben Affleck, apparentato alla recente cordata di The Justice League – quella del DC Extended Universe coi travagli del director’s cut di Zack Snyder – ed è finito con il virare verso altri lidi (e nuovi incubi): Affleck ha mollato script e parte principale, Robert Pattinson, già vampiro in Twilight, è entrato nel title character, mentre il regista Matt Reeves (anche co-sceneggiatore con il Peter Craig di Hunger Games), classe 1966 e un passato sul Pianeta della Scimmie, con la crew tecnica che nomineremo poi, si è fatto showrunner per usare un termine in voga nella serialità e spendibile nei kolossal che sono in fondo delle Opere Mondo, per citare l’altro Moretti, il professor Franco.
Qualsiasi cosa avesse dovuto essere The Batman è diventato un esercizio di stile su “i primi passi di Batman”, con l’Uomo Pipistrello più dark e buio in viso di tutti i precedenti (mai un ammicco per non dire un sorriso), inserito in un apprendistato edipico quasi devastante che diventa aperta tragedia greca nel finale (interminabile), mentre Matt Reeves compie fin dall’inizio due mosse piuttosto riuscite e caratterizzanti il film. La prima: sposa l’estetica dell’horror scandendolo sulle note mistiche dell’Ave Maria di Schubert; la seconda: opta per un ibrido tra film di superuomo e giallo noir con caccia al serial killer, perché tale è il feroce e schiodato Enigmista, mosso da palingenetiche e furibonde intenzione morali. Gotham City negli anni è diventata il simbolo nero delle nostre inabitabili metropoli, popolata da plebi immiserite e criminali che assediano una fastosa e un po’ rincoglionita élite di corrotti.
Di riddle in riddle scopriamo quindi tutto il marcio su cui è fondata la Gotham dei padri e dei loro inguardabili giannizzeri, e pure babbo Thomas Wayne, il noto filantropo assassinato quella notte dal rapinatore, avrebbe fatto troppi affari con la mafia per non scatenare una ulteriore tempesta interiore in Bruce, orfano già torturato dai rimpianti e dal desiderio di vendetta. Bruce/Batman in tuta corazzata total black è qui così incapace e primitivo nell’approcciarsi con il prossimo – gli va un po’ meglio con le femmine, come la deliziosa Cat Woman di Zoë Kravitz – da sembrare addirittura un adolescente problematico. Soltanto dopo tre ore piene di film e una mezz’ora di puntualizzazioni conclusive – ma davvero bastavano due parole: qualcuno in sala prende davvero in parola i roboanti dialoghi ultra Kitsch? – conquisterà la maturità e la garra del vero giustiziere. Tra parentesi: l’Uomo Pipistrello è stato storicamente il primo supereoe con dei problemi psicologici, ma ormai siamo entrati nella patologia…
Comunque. Matt Reeves dimostra che è difficile ma non impossibile rifare Batman dopo Burton e dopo Nolan, annerendo tutte le caselle disponibili e non ricorrendo mai (sottolineo mai) all’ironia. The Batman, popolato di cittadini trash che si ammazzano su metropolitane scassate travestiti da Joker, offre un tempo atmosferico tra Seattle e Seven e rinuncia in toto alla gadgettistica più infantile – la Batmobile diventa una splendida auto nera da corsa, la Batcaverna è più rifugio di Zorro che di Diabolik (Batman tra l’altro discende direttamente da Zorro), i costumi sono armature medioevali con stivali da skinhead (Batman) o eleganti tute minimal (Cat Woman).
Il cast. I nostri applausi vanno al Colin Farrell Pinguino mobster con espressive cicatrici e ghigno alla DeNiro, a John Turturro ambiguo deus ex machina del potere mafioso nascosto nelle fondamenta di una maledetta metropoli borghese, e a Paul Dano, serial killer al cartoccio con gli occhiali grandi e con una vocalità schizoide. Pattinson pareggia con alcuni Batman della storia, direi con quelli più gioviali (Michael Keaton e George Clooney), e perde dal più lugubre prima di lui (Christian Bale, di cui imita insensatamente il taglio dei capelli sfilato). Poi, decidete pure voi, se volete ascoltare ancora una volta la spettacolare favola nera che appena ieri ci illuse…
Il cast tecnico. Il direttore della fotografia già nominato all’Oscar è Greig Fraser (Dune, Lion-La strada verso casa); lo scenografo e il montatore sono James Chinlund e William Hoy, che vengono da Il Pianeta delle Scimmie di Reeves; la costumista, pure Oscar, Jacqueline Durran (1917, Piccole donne, Anna Karenina). Musica del compositore Michael Giacchino con Schubert riarrangiato “da paura”, un tocco grunge bombastico dei Nirvana e una citazione di Nel blu dipinto di blu – a proposito: questo Batman “svolazza” molto a fatica tra un grattacielo e l’altro, rischiando il precipizio – che però abbiamo notato solo mentre scorrevano titoli di coda. L’ultimo riddle sono le due parole con punto interrogativo che li concludono: Good Bye?
Credit: Warner Bros