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Panatta e Lendl: storia di una grande (non) amicizia

Nello sport può accadere che talvolta una grande rivalità si trasformi in una grande amicizia. Si dice che Nadal e Federer, che si sono sfidati sul campo per ben 40 volte con lo spagnolo in vantaggio 24 a 16, prima si odiassero o quasi, ma con l’andar del tempo abbiano cominciato dapprima a rispettarsi e poi ad apprezzarsi anche fuori dal campo. Al punto da diventare amici, tanto che quando uno dei due organizza degli eventi di beneficenza, l’altro non manca mai. E in tempi di clausura a causa del Coronavirus hanno dato vita a una esilarante diretta su Instagram, proprio come farebbero due vecchi amici.

Non si può dire che tra Panatta e Lendl sia accaduto qualcosa di simile, perché i due erano divisi da 10 anni di età e di fatto non sono mai stati grandi rivali. Però ci sono un paio di episodi pressoché sconosciuti al grande pubblico e poco raccontati, che meritano di essere ricordati.

1979, il diciannovenne Ivan Lendl, cittadino di una Cecoslovacchia ancora unita, si affaccia al grande tennis dopo aver vinto tutto quello che era possibile a livello giovanile. La stoffa c’è, il ragazzo è segaligno, alto un metro e 88, ma gli manca qualche chilo di muscoli per far esplodere la sua potenza. In campo non molla niente, magari non è simpatico perché non sorride mai, ma il talento certo non gli fa difetto.

Nel primo week end di ottobre al Foro Italico è in programma la semifinale della coppa Davis tra Italia e Cecoslovacchia. Nel match d’apertura Corrado Barazzutti e Thomas Smid danno vita a una battaglia senza esclusione di colpi. Sul punteggio di 5 a 2 al quinto set in favore dell’azzurro, sul campo centrale (ora campo Nicola Pietrangeli) si abbatte un temporale che costringe a una lunga sospensione e, quando il gioco riprende, il ceco infila cinque giochi consecutivi vincendo il primo singolare.

Lendl nel 1984

Quando scendono in campo Panatta e Lendl, si capisce subito che sarebbe stato impossibile completare il match prima di sera e, tutto sommato, considerata la differenza d’età tra i due, la cosa non dispiace affatto alla squadra azzurra, capitanata da Bitti Bergamo, il quale appena qualche giorno dopo troverà la morte sull’autostrada Firenze-Mare, a causa di un folle autista di Tir che pensò bene di fare un’improvvisa inversione di marcia.

Adriano porta a casa il primo set 6-4, poi il giovane Ivan gli scappa via in un attimo sul 4 a 1, menando fendenti di dritto da ogni parte del campo. Opportuna e tempestiva interviene la sosta per oscurità.

Il giorno dopo Lendl, non ancora il giocatore capace di arrampicarsi in vetta alla classifica mondiale il 28 febbraio 1983, ma un tennista in grande ascesa, completa l’opera aggiudicandosi in pochi minuti il secondo set per 6-1.

Tutto da rifare. Ma Panatta lo fa benissimo. Da lì in poi comincia un’altra partita: è un autentico show quello al quale assistono affascinati gli spettatori del campo centrale del Foro Italico. Adriano prende letteralmente a pallate il giovane avversario, scaraventandolo da una parte all’altra del campo. Servizi profondi, dritti potenti, smorzate taglia-gambe per poi costringerlo a rincorrere un pallonetto preciso. Una lezione di tennis gratuita, dirà poi qualche collega impietoso. Lendl non ci si raccapezza più, appare in balia di Panatta, che addirittura lo irride servendo una palla corta quando Ivan si piazza quattro metri fuori campo. Finisce 6-0 6-0 per l’azzurro, travolto da un’ovazione del “suo” pubblico, quello che tre anni prima lo aveva trascinato al trionfo nella finale degli Internazionali d’Italia contro Guillermo Vilas.

Quel giorno mi trovo nella “buca” del Centrale perché lavoro all’ufficio stampa della Coppa Davis. Incrocio per un attimo lo sguardo vuoto di Lendl, a un paio di metri di distanza, e lo ricordo ancora oggi: sembrano gli occhi di un pugile che ha appena subito un k.o. durissimo.

Lendl raccoglie le racchette e scuro in volto s’infila nel lungo tunnel che conduce agli spogliatoi. Lo seguo passo passo, lui con la testa bassa percorre i duecento metri più difficili della sua vita, forse chiedendosi cosa fosse successo. E io accanto a lui. Arriviamo all’ingresso degli spogliatoi e gli chiedo se può venire in conferenza stampa. Lendl mi guarda quasi non capisse, apre la porta e scompare portandosi dietro l’umiliazione più cocente della sua carriera.

Qualche minuto dopo, Panatta commenta così: “Ma ditemi, ho giocato proprio bene? Siete tutti convinti? Quel doppio 6-0 glielo volevo dare a tutti i costi. Mi è quasi venuta paura che a regalargli un solo gioco la vittoria svanisse”.

Panatta nel docu La squadra, 6 puntate Sky

Adriano era un giocatore capace di tutto, nel bene e nel male. Certo, non gli mancava la personalità, con la quale gli piaceva condizionare i malcapitati avversari. Come a Parigi nel 1976. Mancano pochi minuti all’inizio della finale del Roland Garros e proprio poco prima di scendere in campo accade questo episodio. Negli spogliatoi è tutto pronto e, mentre Solomon si dà un’ultima sistemata ai capelli, Panatta gli si affianca, gli indica lo specchio e gli dice: “Guardaci, Harold: ma come pensi che uno con la tua faccia possa vincere la finale di Parigi?”. Infatti la vinse l’azzurro in quattro set, due settimane esatte dopo il trionfo di Roma. E Solomon, ricorda oggi Adriano, non gli rivolse mai più la parola.

Ecco, in quel week end di ottobre del 1979 si rivede, parole di Mario Belardinelli, l’uomo che aveva forgiato Panatta nel college di Formia, “il campione del ’76, il fuoriclasse che fa fare la figura del cretino a chiunque”.

Passa qualche mese e a inizio di aprile Panatta e Lendl si ritrovano al torneo di Houston, che poi il cecoslovacco vincerà battendo in finale Eddie Dibbs. Panatta non sta giocando benissimo e il giovane Ivan gli chiede con sfrontatezza pari alla sua enorme ambizione: “Adriano, dove giochi la settimana prossima?”. “Las Vegas” la risposta a denti stretti dell’azzurro. E qui Lendl affonda il colpo: “Ma perché, sei in tabellone?”.

Adriano si morde la lingua, forse avrebbe voglia di azzannargli la giugulare, ma a rimettere a posto il giovane ceco arriva l’intervento provvidenziale del grande Arthur Ashe: “Caro Ivan – dice – tu non puoi chiamarlo Adriano, ma Signor Panatta, perché tu non hai ancora vinto una prova del Grande Slam”. Lendl capisce la lezione, si guarda bene dal replicare e si infila sotto la doccia.

Passano altri 4 anni e finalmente arriva il grande momento: al Roland Garros va in scena la finale tra John Mc Enroe e Ivan Lendl, che conquista il suo primo titolo del Grande Slam.

Passa un altro mese e il cerchio tra Panatta e Lendl si chiude a Wimbledon: i due si incrociano, Adriano gli tende la mano e gli fa i complimenti per il successo di Parigi. Ivan lo ringrazia e ribatte: “Ma ora posso chiamarti Adriano?”. “Adesso sì” è la risposta, accompagnata da un “vaffa” e da un sorriso che in un attimo annulla l’umiliazione di cinque anni prima.

In apertura, Adriano Panatta agli Internazionali d’Italia del 1976   

Credit: File:Ivan Lendl (1984) cropped.jpg by Anefo / Croes, R.C. is licensed under CC BY-SA 3.0.

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