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La Rosa dei Venti e le origini della strategia della tensione

La Bestia è arrivato a toccarla. E lei, infastidita, era probabilmente pronta alla risposta. Poi la Corte di Cassazione gli ha sfilato il processo e lui, Giovanni Tamburino si è salvato. Ha lasciato il ruolo di giudice istruttore, ripreso una vita normale e fatto qualche riflessione sul passato. Dietro tutte le trame (Donzelli) è il frutto delle sue analisi. Di una storia, quella dell’indagine sull’organizzazione segreta la Rosa dei Venti, che ci riporta indietro nel tempo, esalta il ruolo di personaggi poco conosciuti e permette di vedere con occhi diversi la storia d’Italia da Portella della Ginestra in poi.

Il filo conduttore è l’esistenza di un’entità – qualche loggia massonica o altra organizzazione – dove si concentrano le istanze contrarie a un normale svolgimento della vita democratica. I comunisti non dovevano passare e questo doveva essere impedito a qualsiasi costo. E a cascata nascono strutture di raccordo come la Rosa dei Venti che dispiegavano la loro azione tramite servizi segreti, militari, giudici e militanti pronti a qualsiasi tipo di azione. Come disse uno di loro, Amos Spiazzi: “Meglio una strage di una guerra civile”.

Si inizia subito dopo la guerra con Portella della Ginestra – (la prima strage della Repubblica commessa il 1° maggio 1947 in località Portella della Ginestra a Piana degli Albanesi in provincia di Palermo, da parte di una banda che sparò contro la folla di contadini riuniti per celebrare la festa dei lavoratori, provocando undici morti) – dove l’esecutore materiale, forse affiancato da altri, è il bandito Giuliano, ma la mente sta da un’altra parte. Secondo Tamburino, ma non ci sono sentenze a certificarlo, il protagonista è Gianfranco Alliata di Montereale, personaggio misterioso e potentissimo che il magistrato pone sullo stesso piano, se non sopra, di Licio Gelli.

dietro tutte le trame tamburino

Tamburino incoccia nell’organizzazione nel 1973. Gli affidano un’indagine per associazione sovversiva perché la Rosa dei Venti si rivelerà non un gruppo di esaltati anticomunisti ma un’organizzazione, conosciuta dall’intelligence Usa, para-ufficiale “la cui catena di comando non si identificava con la gerarchia formale, bensì rifletteva una gerarchia parallela di cui facevano parte anche civili”. Militari e civili uniti nella lotta contro i rossi e per questo ogni mezzo era lecito. Era la guerra non ortodossa teorizzata in ambito Nato fin dagli anni Cinquanta. Il documento desegretato Demagnetize spiega che contro i partiti comunisti francese e italiano bisognava fare pressione sui governi e agire con “proprie attività”. A differenza di Gladio, organismo segreto ma istituzionale, la Rosa dei Venti è stato un gruppo segreto ma clandestino.

Le operazioni sono coordinate da quella zona grigia, il famoso Deep State, mai indagata negli anni. Perché nessuna indagine o sentenza ha accertato i mandati delle stragi che hanno insanguinato il Paese. I soldi non mancano. “Il solo Sismi nel 1980 disponeva di 68 miliardi destinati a spese riservate, lievitati a 86 miliardi l’anno successivo”. La strada tracciata a Portella della Ginestra prosegue negli anni fra attentati, stragi e depistaggi. E quando qualcuno non serve più, come il bandito Giuliano, viene fatto uscire di scena. Succederà anche con Totò Riina e i Corleonesi.

Tamburino cita la collaborazione attiva di alcuni magistrati a un progetto che accompagna la storia d’Italia e arriva fino alle stragi degli anni Novanta. “Le stragi mafiose – non ‘solo mafiose’ del 1992… sono state determinate dal timore dell’ingresso di rappresentanti del vecchio Pci nella compagine governativa… timore che dipendeva dalla necessità di proteggere da un lato l’impunità e dall’altro la persistenza delle strutture organizzative nonché la segretezza delle loro operazioni fondamentali”. Tesi fatta propria dalla magistratura sulla quale però è lecito avere qualche dubbio. Più che il vecchio Pci che non esiste più ciò che faceva paura era l’azione di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Il primo da tempo aveva individuato le connessioni, proprie per esempio del delitto Mattarella, fra estremisti di destra, mafia e politica. Mentre per Paolo Borsellino, un delitto ancora oggi inspiegabile, rimane a mio parere valida l’ipotesi della pista su mafia e appalti e la saldatura con le indagini di Mani Pulite. Il succo è, come disse Falcone davanti alla Commissione parlamentare antimafia analizzando il delitto Mattarella, che occorre capire se la partecipazione dei neofascisti fosse alternativa o si compenetrava alla pista mafiosa. Da ciò “la necessità di rifare la storia di certe vicende del nostro Paese, anche da tempi assai lontani”.  È tutto? No.

Il 1974 è l’anno chiave in cui avviene “il cambio di spalla” del fucile. Come affermò “con serena certezza” il generale Vito Miceli, direttore del Sid, e descritto da Mino Pecorelli su O.P., dalla destra si passò alla sinistra. E caddero magistrati come Girolamo Minervini, sostituito da Ugo Sisti processato per favoreggiamento di Paolo Bellini coautore della strage di Bologna, e poi Guido Rossa, Emilio Alessandrini, Walter Tobagi e molti altri che di destra non erano. Fino ad Aldo Moro che voleva portare il Pci al governo. Utilizzare destra o sinistra faceva parte del gioco, l’importante era l’obiettivo finale.

D’altronde lo diceva anche Mao, e prima di lui Confucio, non importa il colore del gatto l’importante è che prenda il topo.

Nella foto, Amoz Spiazzi (secondo da sinistra) durante il processo per il golpe Borghese

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