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Allonsanfàn
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E se Halloween non l’avessero inventato in America?

Non ho una particolare passione per Halloween e non ho addobbato casa con zucche e fantasmi; riconosco che il fatto di non avere figli piccoli mi permette di trascorrere la notte prima di Ognissanti in assoluta tranquillità, pregustando un giorno festivo in più. Ma non sono uno di quelli che si scandalizza del fatto che da qualche anno abbiamo cominciato a celebrare questa festa dei morti, perché Halloween – al netto delle zucche, dei fantasmi, di “dolcetto o scherzetto” – non è un’americanata, ma una festa tutta “nostra”, che affonda le sue radici nelle più antiche tradizioni agricole della nostra storia.

Furono i celti a introdurre questa festa – che chiamavano “samhain” – come momento in cui celebrare allo stesso tempo la fine dell’estate e gli spiriti dei morti. Quel popolo antico immaginava che l’anno cominciasse proprio all’inizio di novembre, perché – fatti gli ultimi raccolti a ottobre – si cominciava in quel mese a preparare i terreni per l’inverno e quindi per le messi dell’anno successivo. Si tratta di una tradizione che è arrivata sino a noi, visto che l’anno agrario comincia l’11 novembre e nelle nostre campagne a san Martino i fittavoli si trasferivano nei nuovi campi: e per questo noi diciamo ancora oggi “fare san Martino” per dire che traslochiamo.

Tornando a “samhain”, il fatto che quel giorno fosse come temporalmente sospeso tra l’anno che finiva e quello che cominciava faceva sì che fosse più facile la comunicazione tra il mondo dei vivi e quello dei morti. Nel giorno che non esisteva i morti potevano tornare sulla terra per rivedere i luoghi in cui avevano vissuto e soprattutto per incontrare per l’ultima volta nuovamente quelli che avevano lasciato sulla terra.
Naturalmente la chiesa cercò di impossessarsi anche di questa festa e quindi nell’835 venne istituita da papa Gregorio III la festa dei Santi, proprio il 1° novembre, a cui Oddone di Cluny, poco meno di un secolo dopo, fece immediatamente seguire la commemorazione di tutti i defunti, per rendere ancora più forte il legame con gli antichi riti pagani. Ma le antiche tradizioni sono dure a morire. E così è nato Halloween che in scozzese significa semplicemente “all hallows’ eve”, ossia la notte di tutti gli spiriti, o di tutti i santi, a seconda di come la intendete.

E anche l’uso dei gruppi di ragazzini che girano di casa in casa chiedendo “trick or treat” non è proprio un’invenzione dei telefilm americani. La notte di Ognissanti nelle campagne romagnole era conosciuta anche come la “carità di murt”, perché i poveri giravano le case chiedendo da mangiare e quello che ricevevano serviva a placare, oltre la loro fame, anche le anime dei morti.

Ma ormai non è più tempo né di santi né di spiriti. E le feste servono soltanto a farci comprare qualcosa che non avremmo mai comprato in un giorno normale, qualcosa di cui non abbiamo bisogno e che non possiamo neppure permetterci. Ma ci fanno sentire in colpa se non addobbiamo la casa con una zucca luminosa o se non compriamo quei biscotti a forma di fantasma (o se non cambiamo il telefonino almeno una volta all’anno e non usiamo quello shampoo e così via); e se anche non li possiamo comprare, siamo disposti a indebitarci pur di far festa, perché a quella zucca non possiamo rinunciare, senza quei biscotti non possiamo stare (né senza l’ultimo modello di telefonino né senza quello shampoo). Tanto è facile ottenere un prestito; in questi giorni – come sempre – le pubblicità degli strozzini legali si alternano a quelle per Halloween e poi a quelle per Natale e via così, perché l’importante è che compriamo, e quando abbiamo finito i soldi, che facciamo debiti per continuare a comprare.

E allora Halloween è proprio la nostra festa, la festa dei morti, di quelli che sono vivi solo quando sono in fila alla cassa di un supermercato, la festa delle zucche vuote.

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