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Torso Virile Colossale. Il fascino rock di peplum e buccine

È un giovedì sera a Milano, zona Porta Genova, al Germi, un posto bello che non se la tira, ma che qui chiamano tutti “il locale di Manuel Agnelli”, perché in effetti potrebbe essere il salotto di casa sua. Lui non c’è ma, in compenso, ci sono un sacco di suoi cosplayer e persino un autentico Diodato tra il pubblico. Il sottotitolo della location è “Luogo di contaminazione” e da questo punto di vista stasera sta dando il meglio di sé.

Sul palco, che poi sarebbe la stanza adiacente al salotto, c’è il set dei Torso Virile Colossale. A voi che cosa viene in mente se un gruppo si presenta così? Se siete lettori compulsivi di Rolling Stone penserete a una tribute band degli Screaming Headless Torsos, la band jazz rock di David Fiuczynski. Complimenti per l’erudizione (e ancora di più se riuscite a pronunciare Fiuczynski), ma mi spiace, dovete andare più indietro, agli anni ’60, e fare mente locale su tutto ciò che era iconico per circonferenza toracica. Se avete pensato a Maciste e alla sua compagnia di fustacchioni ci avete preso. Parliamo proprio di questo: della musica dei film peplum italiani. Quindi offrite una media chiara ad Apollo e preparatevi a un viaggio che ci porterà da Omero a Shostakovich, passando per Moira Orfei. Fiato alle trombe, anzi alle buccine.

Cover Torso Virile Colossale

Torso Virile Colossale è un progetto artistico nato nel 2017 con musicisti di lunghissimo corso. L’ensemble può variare a seconda della performance, ma questa sera, accanto all’ideatore Alessandro Grazian (chitarrista e arrangiatore, autore di colonne sonore) ci sono Nicola “Bologna Violenta” Manzan, al violino, Emanuele Alosi (Pan del Diavolo, Stella Maris) alle percussioni e Davide Andreoni (ammennicoli tastieruti). Insomma, gente che suona da quando è stata registrata all’anagrafe, oscillando tra orchestre sinfoniche e i palchi del Magnolia. Sono già più contaminati loro degli zombi di The Last of Us.

Se parliamo del genere allora il contagio sale di livello. Le colonne sonore dei peplum costituiscono un compendio di storia della musica. I compositori più in vista della Hollywood sul Tevere attingono a piene mani dal sinfonismo più esotico del primo ’900, quello che guarda a Est, dal Danubio alle pianure Caucasiche. La suite di Spartacus di Alex North non ha niente da invidiare alla Leningrad di Shostakovich (poi in Cleopatra il compositore si fa prendere la mano con il jazz e finisce per comporre un Americano ad Alessandria d’Egitto). L’eccelso Miklós Rózsa in Ben Hur dà sfoggio alla sua miglior arte di orchestratore mixando Khachaturian e Honneger. E comunque, nel dubbio per musicare le gesta di imperatori e semidei meglio metterci timpani e buccine, tante buccine. Un trend che si rivela vincente anche ai giorni nostri. Provate a guardarvi Charlton Heston che guida una quadriga con la musica di Star Wars e capirete a fondo John Williams.

Gli epigoni italiani non sono stati da meno quando si è trattato di riprendere il genere con i forzuti. Intanto perché il genere lo abbiamo inventato noi: Odissea del 1911, Gli Ultimi Giorni di Pompei del 1913, poi il vero capostipite: Cabiria nel 1914 dove compare per la prima volta Maciste. Quindi, recuperatevi Ercole al Centro della Terra, diretto niente di meno che da Mario Bava, con la musica di Armando Trovajoli, leggetevi lo straordinario curriculum di Angelo Francesco Lavagnino, il compositore del Colosso di Rodi di Sergio Leone, o rendete un silenzioso omaggio a un professionista della “musica di genere” come Francesco De Masi che ha musicato tutta la saga di Sartana, ma che nel Leone di Tebe o la Vendetta di Spartacus dimostra di saperci fare anche con le buccine quanto con le colt.

Angelo Francesco Lavagnino

Sono lavori più profondi di quanto non richiedano altre pellicole perché in un peplum la colonna sonora è parte integrante della scenografia. Da chiunque sia stata composta appena parte l’orchestra non potrete fare a meno di immaginare uomini in gonnellino che flirtano con una lasciva Moira Orfei (Gli amori di Ercole, o Ursus nella valle dei predoni…). Ciò che fa scattare l’associazione è un elemento chiamato “modalità”, parola che ha a che fare con i “modi” della musica greca. Senza andare troppo nel tecnico: le melodie “modali” insistono su certi intervalli che associamo immediatamente con la musica antica perché per secoli l’abbiamo immaginata così ascoltando i suoi immediati successori: il canto gregoriano o la musica russa influenzata dalla liturgia bizantina.  È una costruzione mentale, in realtà non abbiamo la più pallida idea di che cosa suonassero i greci o i romani: magari facevano assoli in stile power-cetra prima di staccare a morsi la testa di un’arpia sul palco.  Ma due secoli dopo, se devi fare la colonna sonora di Zorro contro Maciste, mettici un po’ di modalità e aggiungi buccine alla chitarra flamenco.

Ed è qui che entrano in scena i Torso Virile, creando un interessante cortocircuito temporale: che prende il materiale sonoro su cui è stato costruito quell’immaginario collettivo e lo rende rock deformandone i suoni in chiave psichedelica e aggiungendo un pizzico di punk, soprattutto nei titoli Chi guida l’orgia?, Fenici miei, La biga falcata.  Anzi è incredibile come aggiungendo compressione e acidità queste suggestioni non perdano nulla della loro epicità. Del resto, cosa c’è di più eroico di una chitarra con il distorsore al massimo per accompagnare Ettore mentre lotta con Cerbero?

Potrebbe sembrare un’operazione simile a quella compiuta dai Calibro 35 quando accentuano il lato funky dei poliziotteschi italiani. Qui però la ricerca delle sonorità è trattata con una cura quasi maniacale e può sfruttare una maggiore varietà tematica e timbrica. In fondo stiamo parlando di una musica pensata per orchestre importanti ed è facile avere l’impressione, trattando in modo moderno il lirismo del peplum, di stare sfiorando un’opera rock. Un’impressione accentuata dal fatto che l’esibizione è perfettamente sincronizzata con gli spezzoni cinematografici che scorrono alle spalle dei musicisti. Proprio come in un concerto dove si esegue la sonorizzazione dal vivo di qualche pellicola storica in una sala piena di velluti, invece siamo qui, in piedi tra libri e divani, con la nostra media chiara a fianco di Diodato.

Tutto è così preciso e intellettualmente stimolante che Apollo sarà sicuramente contento, ma anche un pizzico di Dionisio in più non guasterebbe. Comunque, è un’esperienza che lascia il segno: oltre al piacere di riscoprire la musica peplum, grazie ai TVC ora sto facendo binge watching della cinematografia di Maciste.

Conoscete mica qualcuno che dia lezioni di buccina?

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