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Allonsanfàn
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The Idol. Forse esistiamo, se spiamo le star

Un’imprevista e scandalosa scia di seme maschile unisce nella mia memoria il letto di Whitney Houston, profanato da un vizioso in Guardia del corpo, e il viso di Lily-Rose Depp, la cantante nevrotica di The Idol (Sky Atlantic e NOW), viso esibito “sporco” sui social network, forse in un frangente di revenge porn.

Là interveniva a far pulizia Kevin Costner, bodyguard vecchio stile, qui battibeccano per metterci una pezza i più moderni agenti, produttori discografici, direttori creativi, giornalisti chic di Vanity Fair (Usa), fotografi e tirapiedi assortiti, intanto che il post maramaldo della loro inquieta star diventa il trend topic del giorno.

Sì, ma perché? Perché Levinson jr, l’abile Sam, già patron assoluto di Euphoria, e solidamente hype riguardo film e serie, è così attento alla privacy delle stelle, tanto da dedicarvi, forse citando Whitney ma di sicuro ammiccando agli innumerevoli reload di Britney, il primo set di The Idol?

Forse perché sa che ci interessa molto, ovvero che interessa molto il pubblico world wide. I confini della privacy dei famosi sono oggi le colonne d’Ercole della fama, oltre le quali anche noi sfigati sogniamo di esibire, e dunque di dichiarare esistenti in un flash di “vita autentica”, le nostre povere anime e i nostri poveri corpi.

The Idol altri non è che un enorme buco della serratura glamour attraverso cui guardare la vita di chi si suppone viva davvero. È il privé globale aperto, cioè spalancato, per chiunque abbia la pay tv. È guardonismo impuro e suggestione di tagli apotropaici, masturbazione sofisticata e catarsi degli anonimi che non conteranno mai un cazzo, ma in fondo credono che…

Lily-Rose Depp accresce, nel gioco del vero e falso, il peso intellettuale e commerciale del serial perché figlia di cotanto scorretto e sgarbato padre. The Weeknd raccoglie in sé, sprezzante e fiero, il tedio di tutti i rapper sfiatati e lo trasforma in stardom e sorniona pleasanteria da ispirato nipotino di Charles Manson: che cosa è una setta, in fondo, se non una versione estrema e potenziata, anzi abilmente truccata, di una casta? E basta questa precisazione per spiegare come mai da tempo impazzano sette digitali e di celluloide, al cinema e in tv? Sam Levinson, altro che jr, dirige con testa e senso acuto per il sex appeal gli episodi di The Idol, godendo della sua bravura professionale, dell’estro citatorio e, perché no, del fiuto sociologico, novello dulcamara dei nostri sogni e delle nostre pippe segrete.

E il bodyguard citato all’inizio? Nel dubbio, riascolto Whitney, usignolo ferito, mentre non per caso canta I will always love you.

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