UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Storie in musica. A teatro, Anything Goes di Luca Billi

La scena di un teatro è un luogo particolare: secondo convenzione, per un momento la si può arredare di parole e di gesti, e rendere significativo quel momento prima che trascorra e se ne vada, magari in malora, come tutti gli altri. In questo momento speciale, quando si alza il sipario, noi vediamo sulla scena tre personaggi.

Li troviamo alla fine di un altro spettacolo, in un locale del Village di New York. I tre sono amici – una cantante, un contrabbassista e una pettegola giornalista mondana – e non hanno voglia di rincasare – ma una casa, poi, esiste ancora, là fuori?

Per questo, ora i tre si perdono tra i successi del cosiddetto Great American Songbook, invitandoci a far loro compagnia, in quel fragile momento in cui si svolgono tutte le vecchie storie di Broadway e dintorni, storie da cogliere al volo, perché poi, si sa, anything goes…

La giornalista conosce il fascino ubriacante del racconto, il contrabbassista sa dare e cambiare ritmo, la cantante permette al gorgo di parole e alle scure note dello strumento di aprirsi interamente alla melodia, alla grande melodia… Signore e signori, Anything Goes di Luca Billi va qui in scena, e insieme sta in un serie sterminata di altrove, che ci troveremo quasi per caso a visitare ascoltando e applaudendo.

Emiliano e verdiano convinto, oggi prestato al jazz e a più esotiche luci della ribalta, Billi si è rivelato in questi anni uno scrittore/costruttore di mondi: potrebbe ambire, per le sue rievocazioni a ciglio assolutamente asciutto, a uno snobistico titolo di minore del Novecento.

Questo Anything Goes prestato al teatro lo conferma pedinatore di personaggi e di fantasmi di personaggi. Possono apparire, nelle chiacchiere della sua piccola e affiatata compagnia, Billie Holiday e Cole Porter, Fred Astaire e i suoi piedi che sembrano volare, George Gershwin che si perde una mattina d’aprile a Parigi, dive del muto e gangster, costruttori di teatri e ballerine…

Domanda cruciale: oltre alla verve affabulatoria qualcosa accomuna gli intrecci, gli incontri, gli scontri e gli agguati che occorrono nel cammino di questi personaggi mortali e in un certo senso immortali? I loro nomi sono solo una sorta di mantra da ripetere ancora una volta, come fanno i nostri tre “eroi” nella notte del Village, prima di tornare a una casa che, sappiamo, non esiste più?

Credo che dobbiate venire a scoprirlo di persona, entrando in sala e seguendo la compagnia di Billi nel suo lavoro. Perché il pregio maggiore del testo è quello di affiancare a ogni storia narrata la storia con la esse maiuscola e, insieme, un senso di giustizia, un desiderio di riscatto, che trascende i concitati andirivieni della fama.

È il motivo per cui Billi ha scelto l’età del jazz per questo semplice e sofisticato spettacolo. Il jazz, suggerisce, “è la musica del Novecento perché è essenzialmente l’unione del ritmo della tradizione africana e della melodia di quella europea, è contaminazione, ossia il tratto distintivo di questo secolo, nei suoi momenti migliori”. “Anything goes”, dice Cole Porter e Billi con lui, ma il Novecento, mentre i tre nel locale di New York continuano a parlare e a suonare, per un momento e per fortuna non è ancora finito.

I tre sono la cantante Arianna Baldi, che regala nuove emozioni a canzoni notissime, il contrabbassista Nicola Govoni, cui si deve anche un serrato progetto musicale capace di dialogare con il testo, e Zaira Giangreco capace di fare musica con le sole parole.

Da sinistra, Govoni, Baldi e Giangreco
  • Per tenersi informati su Anything Goes, qui 
I social: