UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Dal tennis ai libri. Le segrete virtù dell’antipatico

Il primo fu Jimmy Connors, divino giocatore di antipatia selvaggia e favolosa. Fu il primo – correvano gli anni Settanta Ottanta del secolo scorso – a mandare affanculo il fair play dei gesti bianchi, a fottersene del politically correct minacciando  l’avversario col dito puntato, entrando nel suo campo a cancellare un punto su cui non era d’accordo, protestando di brutto contro arbitri e giudici di linea: il primo “antipatico” nella storia del tennis. Ne seguiranno altri – da McEnroe a Murray eccetera –, parecchi altri (forse perché nel tennis “il giocatore è allo stesso tempo “generale e soldato”?, non lo so).

Comunque l’ultimo, oggi, è il danese Holger Rune. Sarà che il successo non è cosa facile da gestire, specialmente se arriva molto in fretta, specialmente se sei un tennista teenager che in un paio di stagioni sale dalla posizione 203 al numero 6 della classifica mondiale. Lì basta un niente a farti ritrovare tra gli “antipatici” della racchetta, e Holger Rune (l’ho seguito live” su SuperTennis, non è come esserci di persona a Roma, a Wimbledon o al Roland Garros, però le palle vincenti te le fanno pure rivedere in primo piano) ci ha messo clamorosamente del suo, per entrare nel novero.

Per cominciare, ai Challenger di Biella 2021 ha dato  del “giocatore di merda” e del “frocio” (“faggot”, nel suo dialetto idiomatico) all’avversario argentino Tomás Etcheverry.  Poi, dopo tutto il casino provocato sui social, pagata la multa, il ragazzo si è scusato dicendo che quelle cose lì le stava dicendo non all’avversario ma a se stesso(e qui, allora, dovremo mica aspettarci un suo coming out, per caso?). A ogni modo il giovane Holger, dopo aver battuto a Parigi e a Roma il vecchio (trentaseienne)ex numero uno Nole Djokovic, lo sta superando anche nella hit parade degli “sgradevoli”. Se pareva difficile arrivare al tasso di antipatia raggiunto dal serbo rifiutando di sottoporsi al vaccino obbligatorio per i comuni mortali in lockdown, o quando in partita se la prende con il pubblico che tifa per l’avversario, o ultimamente, sbeffeggiando con smorfie piagnucolose i colpi sbagliati dell’avversario Jannik Sinner (che reagiva ignorandolo con la composta nobiltà di un vecchio montanaro altoatesino), ecco che arriva il Rune, oggi un marcantonio ventenne dalla fisicità atletica persino un po’ fastidiosa – con quel plateale “caricarsi” da solo tra un punto e l’altro camminando sul campo come un leone in gabbia – a dimostrare che si può essere ancora più antipatici di quello là.

Ciò detto, uscendo dall’ambito tennistico, viene da chiedersi chi è, cos’è, l’antipatico? Un ribelle, un bastian contrario patologico, uno/una che dice le cose come stanno e scaglia la pietra della verità senza curarsi di offendere e ferire, un/una rompiscatole che non si rende neanche conto di essere antipatico/a (e dunque potremmo esserlo tutti, noi stessi compresi?). Ne Gli antipatici (Rizzoli 1963sono raccolte diciotto interviste fatte da  Oriana Fallaci (notoriamente una non proprio simpatica) agli antipaticoni dell’epoca (ormai tutti defunti, tranne l’ex calciatore Gianni Rivera): a Anna Magnani che, secondo l’autrice, è “un grand’uomo” e glielo dice, all’allora minorenne Catherine Spaak, alla femme fatale Jeanne  Moreau, al regista Hitchcock, marito fedelissimo,il signor Castità, e Fellini talmente bugiardo, e Nilde Iotti la compagna di Togliatti “con quella faccia da badessa e i fianchi larghi da emiliana”: pungolati dall’intervistatrice (la preferisco di gran lunga qui piuttosto che nei successivi bestelleroni) ci rendono, nell’antipatia dell’anticonformismo, lo spirito conformista del tempo.

È invece monotematico L’antipatico. Bettino Craxi e la grande coalizione (La Nave di Teseo 2020), dedicato dal “delfino” Claudio Martelli al leader socialista immortalato nell’arroganza dello storico “Passami l’olio”. Perché siamo antipatici di Luca Ricolfi (Longanesi 2005) indaga sul perché la sinistra sia antipatica non solo alla destra ma anche agli elettori né di destra né di sinistra: sono quattro motivi sui quali qualcuno ancora oggi dovrebbe riflettere. E infine, poiché i libri a volte prendono strane vie per raggiungerti, mi capita sotto gli occhi, direi che “viene a me” dallo scaffale della libreria, un libro che non stavo cercando: è Il serpente di Luigi Malerba (prima edizione Bompiani 1966, poi Mondadori Oscar moderni 2018). Lo sfoglio un po’ così senza intenzione e a pagina 12 mi trovo a leggere: “mia moglie mi era diventata antipatica. Antipatica voleva dire che mi dava fastidio vederla () non so come, l’antipatia per mia moglie cresceva e arrivò a un punto che non ne sopportavo la presenza…”, realizza l’io narrante protagonista della storia. Non ho potuto fare altro che rileggerlo, questo “giallo” anomalo, vincitore del premio Selezione Campiello nel 1966. Una rilettura deliziosa. Il protagonista è antipatico quanto basta. Malerba ti porta dentro una Roma insolita, spesso notturna, piovigginosa, surreale.

Nella foto di apertura, il tennista americano Jimmy Connors nel 1978

I social: