UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

La fine delle vacanze in un Paese senza vacanze

Anche noi di Allonsanfàn siamo stati – almeno un po’ – in vacanza. Probabilmente ve ne siete accorti, perché – come avviene di solito in televisione in questa stagione – abbiamo pubblicato qualche “replica” e abbiamo attinto dalle “teche”. Sperando che abbiate sentito un po’ la nostra mancanza, sappiate che siamo pronti a tornare “più belli e più superbi che pria”.

Adesso che stiamo tornando, forse possiamo ricordare che la parola vacanza deriva, attraverso il francese vacance, dal latino vacantia, la forma neutro plurale del sostantivato vacans-antis, participio presente di vacare. La vacanza è prima di tutto la condizione di essere o di rimanere vacante, ossia lo stato di una carica, di un ufficio civile o ecclesiastico, che rimane privo del titolare e da qui il periodo durante il quale rimane appunto vacante. Da questo significato deriva quello ormai più consueto, ossia il periodo di riposo, più o meno lungo, che una persona si concede dalle proprie ordinarie occupazioni, o più comunemente gli viene concesso, quando lavora – come si diceva una volta – “sotto padrone”. Quindi per parafrasare una celebre canzone – vincitrice del Festival di Sanremo nel 1970 – chi non lavora non fa le vacanze.

Probabilmente negli anni Settanta questa regola non scritta valeva ancora. Nel mese di agosto le città si riempivano di cartelli “chiuso per ferie” e un esercito di vacanzieri si metteva in marcia verso i luoghi di villeggiatura. Partivano tutti insieme – creando lunghe file al casello di Melegnano – con la stessa precisione con cui, sempre tutti insieme, timbravano i cartellini per entrare in fabbrica. E tutti insieme lottavano e manifestavano, ma questa è un’altra storia.

I tempi però sono cambiati e si pone quindi un interessante problema. Gli insegnanti precari, che vengono licenziati a giugno e saranno riassunti in settembre, in queste settimane sono in vacanza? Per tanti lavoratori, pubblici e privati, la vacanza non è più un diritto, ma semplicemente il periodo che passa da un contratto all’altro, periodo in cui naturalmente non sono pagati. D’altra parte è già consueto che non ti paghino quando lavori, quindi non puoi pretendere che ti paghino anche per non lavorare.

Siamo ormai un Paese senza vacanze? In un certo senso si, perché siamo sempre più un Paese senza lavoro. O con un lavoro precario, incerto e malpagato, per cui le vacanze diventano sempre più un lusso. E comunque cerchiamo di farle – spendendo il meno possibile, accorciandole, tagliandole, insomma, in qualche modo adattandole alla nuova situazione – non per ostentare uno status che sappiamo di non avere più, ma probabilmente per fingere una normalità, o un simulacro di normalità, che ci aiuti a sopportare questa situazione.

Anche perché – ed è questo il vero problema – siamo ormai un Paese vacante.
E una sede vacante prima o poi viene occupata. Magari indegnamente, come sta succedendo adesso all’Italia. O peggio, come è già successo in questo Paese, quando una monarchia e un governo vacanti furono sostituiti da qualcosa di molto peggiore, che non vorremmo rivedere, anche se ne possono riconoscere già i sintomi.

In fisica, come si sa, i vuoti si riempiono. E la stessa legge vale anche per la politica.
A proposito, buon rientro. Spero abbiate passato delle buone vacanze. E soprattutto spero abbiate un lavoro a cui tornare.

  • Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni). Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale. Per tenersi informati, qui 
I social: