UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Scrivere per vivere. La versione di Lee Israel

Qualche sera fa ho rivisto in tv su RaiTre il film Copia Originale della regista americana Marielle Heller, uscito nelle sale italiane nel 2019, tratto dal romanzo autobiografico Can you ever forgive me? Memoirs of a literary forger di Lee Israel. Mi ha emozionato come la prima volta questo singolare film made in Usa ma meravigliosamente lontano dal sentimentalismo hollywoodiano, che “regge” benissimo anche il piccolo schermo. Non ha bisogno di una scenografia da multisala per coinvolgerti senza scampo dall’inizio alla fine sulle note lancinanti di Bad luck di Dinah Washington o di Good Nights Ladies di Lou Reed, Trav’lin Light di Chet Baker e Manhattan di Blossom Dearie e Street of Dreams di Patti Page... e I’ll be Seeing You di Billie Holiday e addirittura Illusions di Marlene Dietrich… Come si fa, a non farsi trascinare immediatamente da queste voci dentro i luoghi che sono il cuore del film, girato principalmente (Interno-Giorno/Interno-Notte) nella casa fatiscente della protagonista, nello storico Julius’s, gay bar delle sue sedute etiliche con un collega di storiche sbronze, nelle librerie dei collezionisti del suo quartiere, il West Village in una New York anni Novanta vagamente nostalgica delle atmosfere dei Sessanta.

Dunque, l’americana Lee Israel (1939-2014) è una scrittrice. E se lo scrittore, questo essere “approssimativamente umano”, è per definizione menzognero, raccontaballe, un fingidor per dirla con Ferdinando Pessoa e per come viene confermato pure dai ventiquattro grandi autori (Carroll, Stevenson, Dickens, Nabokov eccetera) indagati da Giorgio Manganelli nel suo imprescindibile La letteratura come menzogna (Adelphi 2004), ecco che la scrittrice e biografa Lee Israel, pessimo carattere, alcolista in lite con l’agente che la lascia senza contratto, allorché si ritrova senza soldi per l’affitto e per le medicine del gatto Jersey, l’unico suo affetto, decide di fare, per così dire, “gli straordinari”.

Passando dalla falsità connaturata nello scrittore alla falsificazione del truffatore, Israel incomincia a usare la sua capacità creativa per “migliorare” le lettere private di celebrities decedute, scrittori attori attrici che, nella sua qualità di biografa, reperisce in Biblioteca (gente come Noël Coward, Lilian Hellman, Katharine Hepburn eccetera), aggiungendo dei poscritti tarocchi di sua invenzione atti a rendere quelle lettere più appetibili per i collezionisti e particolarmente lucrose (arriverà a 400 “opere” prima di essere scoperta, condannata a sei mesi di arresti domiciliari e cinque anni di libertà vigilata).

Prima di morire, a settantacinque anni, ha lasciato scritto: “Continuo a pensare che le lettere siano state il mio migliore lavoro”. In effetti, dopo la condanna, i suoi falsi (riconosciuti tali) venivano ancora venduti come autentici. Il che ci dice qualcosa sull’attendibilità del mercato collezionistico. Comunque tutta la vicenda fa riflettere: anzitutto sull’evoluzione dei “falsi, passati dalle contraffazioni innocue, anzi migliorative create sul finire del secolo scorso dalla penna di Lee Israel, alla maligna volgarità distruttiva delle odierne fake news.

Altro punto dolente, la perseverante indigenza dello scrittore, povero oggi come e più di ieri. Posto che, se riesce a pubblicare un libro percepisce tra il 6 e il 10 per cento del prezzo di copertina, in Italia un autore medio che vende 1.538 copie (già un traguardo da far brindare soprattutto l’editore e il distributore) di un libro con un prezzo medio di copertina di 11,57 euro, porta a casa meno di mille euro (dati diffusi in rete).

Ciononostante si pubblicano oltre 60mila titoli all’anno, 164 al giorno, otto libri ogni ora. E allora viene da chiedersi: ma perché scrive, lo scrittore? Per masochismo (gli piace vivere miserevolmente), per sadismo (vuol far soffrire il lettore), per sadomasochismo (vuole soffrire lui insieme al lettore)? Ma qui per rispondere ci vorrebbe uno psicologo, uno psicanalista, forse un prete… o uno psichiatra?

Comunque, tornando
al film: Copia Originale sembra girato da una troupe in stato di grazia. Dalla regista Heller che ha avuto l’intuizione di assegnare il ruolo di Lee Israel, misantropa e sciattona, lingua tagliente e mano lesta nel rubare ai parties firmacopie persino la carta igienica che non può comprare, all’attrice brillante Melissa McCarthy (all’inizio doveva essere Julianne Moore), nota per le sue doti comiche. La quale McCarthy si è aggiudicata la nomination all’Oscar come miglior attrice protagonista del film; nomination anche alla sceneggiatura non originale firmata da Nicole Holofcener e Jeff Whitty. E nomination per Richard E. Grant, attore e regista britannico, qui nella parte di Jack Hock, “piazzista” dei falsi di Lee presso i collezionisti, alcolista malato di Aids, dandy fino al suo ultimo respiro.

Nella foto di apertura, la vera Lee Israel (non siamo riusciti a risalire al copyright della foto. Nel caso, la rimuoveremo)

I social: