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Allonsanfàn
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Pietro Castellitto e qualche motivo per conoscere Enea

Ho contemplato dalla luna, o quasi, / il modesto pianeta che contiene /  filosofia, teologia, politica, / pornografia, letteratura, scienze / palesi o arcane. Dentro c’è anche l’uomo, / ed io tra questi…”, scrive nella sua Fine del ’68 Eugenio Montale.  

Anche Enea (Pietro Castellitto) a un certo punto inquadra la Terra dalla Luna, quasi non bastasse più neppure l’aeroplano dell’amico Valentino (Giorgio Quarzo Varascio) per sollevarsi sopra una vita zavorrata da famiglie avviluppanti, droga, depressioni, feste, cenette e pranzetti di lusso, luoghi comuni, apatia.

Quante inquadrature aeree, in questo film! Impossibile non ricordarsi di Fellini, della Dolce Vita, di quel Cristo a braccia aperte che nella prima scena viene trasportato in volo sulla nuova periferia romana. Qui invece siamo a Roma Nord, nelle viscere di una famiglia infelice come tante. Oggi il famoso incipit di Tolstoj è capovolto: sono le insoddisfazione e le disfunzionalità a somigliarsi tutte, specie se sguazzano nello stesso quartiere, con le stesse abitudini, gli stessi doppi e tripli divorzi, le stesse sedute dall’analista, gli stessi riti.

Io vivo in un paese tranquillo, in fase di declino, dalla mobilità sociale ridotta. Nato in una famiglia borghese di un quartiere elegante, abito ora in una zona di Parigi decisamente radical-chic”, scrive Emmanuel Carrère in Limonov, ritratto di un uomo completamente all’opposto, nato nella polvere e per questo tanto fecondo di vita quanto è mestamente sterile, in potenza, Carrère stesso. A meno di saper raccontare qualcosa, come lo scrittore francese continua a fare.

Forse lo pensa anche Castellitto, che infatti ci racconta una realtà alto borghese che conosce molto bene. Non è un difetto per partito preso: Woody Allen gira il suo eterno film in un salotto bene di New York, e Martin Scorsese esplora la logica dei gangster anche quando racconta la storia degli Osage. Ci perdonino i due Maestri il paragone, ma anche Castellitto junior ha tutto il diritto di scegliere il suo set per la storia di Enea, trent’anni, che ufficialmente gestisce un ristorante fighetto insieme all’amico di una vita, Valentino.

In più, spaccia droga da quando era al liceo; in meno, non ha osato spostarsi dal quartiere dove vive da quando è nato.

Papà (Sergio Castellitto, sì, scelta “clanistica”, come direbbe Enea stesso) è un distratto psicologo infantile; mamma (Chiara Noschese) una tenera giornalista televisiva, all’apparenza non molto acuta. Il fratello minore Brenno (Cesare Castellitto, sì, è il vero fratello di Pietro) è ancora al liceo, e i due si vogliono un gran bene, fatta eccezione per gli scorni da giovani cervi che ogni tanto ruzzano, giusto per misurare le forze in campo.

I drammi di famiglia potrebbero in fondo limitarsi all’abbandono da parte della storica filippina di casa, alle misteriose escursioni di papà in un motel di lusso.

Non fosse che Enea e Valentino si mettono a giocare in un altro campionato, senza avere i muscoli e la fame per affrontarlo come si deve. Giordano (Adamo Dionisi), che nella malavita ci sta per davvero, diventa paradossalmente un padre putativo e li coinvolge in un affare da venti milioni di euro, ma la faccenda dà fastidio a chi sta più in alto ancora, e sono guai seri.

I pregiudizi rispetto al film di un figlio d’arte che usa suo padre per il personaggio del padre e il fratello per il personaggio del fratello sono infiniti. Ma gli artigli con cui si va a vedere il film si spuntano parecchio, perché qualcosa di molto interessante c’è.

Per esempio, un regista italiano che decisamente sa parlare anche per immagini: gli occhi dietro al cespuglio per spiare la partita a tennis della bella Eva (Benedetta Porcaroli); il cibo e i bicchieri di vino inquadrati da vicino, presto consumati e dimenticati; i voli in cielo quando il troppo è troppo e si deve scappare dalla melma. L’ironia, amara, che trasforma le hit più bastarde dal punto di vista della commozione pavloviana Spiagge di Renato Zero, cantata ossessivamente da Valentino fino al giorno in cui non decide di spruzzarla di cocaina; Maledetta primavera che acquista una significato letterale – in colonna sonora tragica, acida. C’è un attore e regista che è più originale di suo padre e di sua madre, e insomma, è il talento di famiglia. Se guarderà a Fellini e a Sorrentino, come già sta facendo, e non a Muccino quest’ultimo ricordano alcuni manierismi della Porcaroli, che deve imparare a usare la sua bellissima faccia senza affidarcisi troppo, sennò la trasforma in faccetta – ci aspettano nuove sorprese.

Enea soprattutto rischia di essere il film che finalmente mette al muro le generazioni dei boomer (quelli veri, 1946-1964) e la X (1965-1980), le prime a essere amiche dei figli, a mandarli dallo psicologo, a parlare coi professori. Quelle che si illudono di fare del loro meglio per la prole, senza capire che il bene della prole è l’uscita di scena dei genitori. Visto che psicanaliticamente non si uccide più il padre – o la madre, oggi è lo stesso – anzi, ci si dorme nel letto, come fa Brenno o le si tiene stretta la mano nei momenti topici, come Valentino, sarebbero padri e madri a dover fare un passo indietro. Ma il loro narcisismo è feroce, a farsi da parte non ci pensano nemmeno! Persino al matrimonio di Enea con Eva, sono mamma e papà a librarsi in cielo citando gli innamorati di Chagall, e après moi, le déluge.

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