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Chris Offutt, Mio padre, il pornografo: in Usa i memoir li fanno così

Da quando, tramite la soglia dell’autofiction o viceversa, il memoir è entrato nel novero dei generi praticati degli italiani – pur essendo sempre esistito – vale la pena notare che in USA vige un memoir puro, sia in versione “la mia storia è speciale” sia in quella “ho un passato schifoso con cui fare i conti, e ora ve lo racconto”.

La licenza di costruirci fiction sopra, di ammorbidire i toni, di arrotondare gli spigoli, per non sbattere nemmeno i mignoli del piede, oppure, al contrario, la spudoratezza di fornire sulfurea presenza a nonni che al massimo del protagonismo erano in coma, è piuttosto limitata. Lo sa bene per esempio Augusten Burroughs, l’autore di Correndo con le forbici in mano che, sbugiardato dai suoi personaggi viventi, all’inizio del 2000 fece un curioso percorso all’inverso: dal Paradiso al Calvario. Non parliamo poi di hoax vere e proprie come quella del fantomatico JT Leroy.

Questo per dire. Ed ecco il memoir Mio padre, il pornografo (2016 in USA, da noi per minimum fax) di Chris Offutt, ex ragazzo del Kentucky: appartiene al secondo genere – dopo la morte del genitore, Offut si libera di una inquietante e castrante figura paterna – e tange pure il primo – la sua è una vicenda in qualche modo esotica.

I fatti. Papà Andrew Offutt, sepoltosi con la famiglia nell’America dei woods, un giorno rinnega la sua carriera di assicuratore e diventa un prolifico scrittore di letteratura popolare, fantascienza e pornografia – due generi che all’epoca, l’inizio degli anni Sessanta, finivano incollati nell’identità degli autori.

Non solo: nonostante il suo orribile carattere, anaffettivo e tirannico, Andrew Offutt (con i suoi eteronimi John Cleese o Turk Winter) ha un certo successo, e incontra un mondo di fan e di fissati nelle Convention che nascondono, dietro a un’arte minore, i semi della libertà sessuale – Andrew nasce negli anni Venti, Offutt figlio, che non per caso perde la verginità a un raduno, è del 1958.

Quando Andrew muore, Chris implode nel malessere di una vita, prendendo sulle spalle il peso dell’eredità. Prova a raccontarci chi è e che cosa è diventato, trovando un leitmotiv nell’improbo lavoro di catalogazione degli scritti paterni, editi e inediti.

Chris ha sempre provato sentimenti contrastanti verso Andrew, di cui ha cercato inutilmente l’affetto, idem verso Anrew versione scrittore stakanovista che ha sacrificato alla sua vocazione l’enigmatica moglie e i figli. Ma sarà proprio la pornografia a fornire la chiave di lettura di un’esistenza, quando Chris scoprirà, in una sterminata produzione fumettistica e sadomaso, il cuore nero o la scatola nera del padre. E forse riuscirà finalmente a voltar pagina (o a scrivere altre pagine) lui stesso.

Andy Offutt, qui il suo primo racconto (If, 1954)

Non aspettatevi un plot funambolico di scene clou, che pure ci sono (attutite dalla realtà dei fatti), ma una scrittura che è un duro esercizio di autoanalisi e che entra e esce dai ricordi di frustrazione e di solitudine del narratore, fermandosi solo una volta sulla soglia del pudore e della convenienza – davanti al mistero della madre. Insomma, Offutt è bravo, sa evitare gli stereotipi, sa dire e anche suggerire, rendendo ogni capitolo un piccolo racconto a sé.

Purtroppo il memoir non ha una corrispettivo fotografico – cercate su Google – che avrebbe reso la ricostruzione individuale un piccolo saggio sulla fabbrica ruspante della science fiction e di un porno agli albori.

IL LIBRO Chris Offutt, Mio padre, il pornografo, minimum fax

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