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Quando Janis Joplin chiese a Dio la Mercedes Benz

Oh Lord, won’t you buy me a Mercedes Benz?/ My friends all drive Porsches, I must make amends/ Worked hard all my lifetime, no help from my friends/ So Lord, won’t you buy me a Mercedes Benz?

Le parole del testo nascono quasi per caso, a Port Chester, N.Y., nell’agosto del 1970 – mezzo secolo fa! – durante una session tra Janis Joplin e l’amico e cantautore Bob Neuwirth. Joplin è reduce dai concerti canadesi di giugno e luglio, documentati nel doppio live postumo: ha già eseguito un pugno di canzoni che entreranno in Pearl. Mercedes Benz è l’ultimo track dell’album – e della vita di Janis – a essere consegnato ai microfoni.

L’inconsueta preghiera viene ispirata da un verso di una canzone (o era un haiku?) di Michael McClure, rimasto in testa a Joplin. Il verso originale dell’affascinante poeta beat di Haight-Ashbury è un po’ diverso, e meno bluesy, di quello che sentiremo cantare: C’mon God, and buy me a Mercedes Benz.

La Porsche di JJ

Nella realtà, Joplin è in possesso di una Porsche 356 C del 1964, acquistata nel 1968 per 3.500 dollari: in origine color grigio delfino, viene decorata in stile psichedelico dall’amico e roadie Dave Richards. Tema: La storia dell’universo, con immagini di Big Brother and the Holding Company (la band di Janis), paesaggi californiani, segni astrologici – Janis was a Capricorn, per parafrasare l’ex fidanzato Kris Kristofferson – e poi teschi, funghi, farfalle… Viene in mente subito questa Porsche colorata, ascoltando il secondo verso della canzone di Janis, anche se sta lì come un simbolo di esclusione per la ragazza che prega Dio.

Ma quale Mercedes, poi? Si può pensare a una lussuosa Mercedes-Benz 600 e non al modello sportivo, la Mercedes-Benz SL roadster, popolare negli anni Sessanta. Nell’autobiografia Midnight Mover (2006), Bobby Womack avvalora la tesi: sostiene che Joplin si ispirò viaggiando sulla sua confortevole e assai borghese (aggiungiamo noi) berlina tedesca. Probabile sia così: nel primo verso della preghiera, l’auto è vista come un oggetto che conferisce status.

Comunque. Qualcuno, forse Janis stessa, telefona a San Francisco a McClure e gli chiede il permesso di utilizzare il famigerato verso. McClure dice di sì anche se non è entusiasta, preferisce il suo di pezzo. Secondo la leggenda, il poeta e Janis si sarebbero cantati al telefono le reciproche versioni, McClure accompagnandosi con l’autoharp che gli venne regalato da Bob Dylan.

È entusiasta invece Joplin quando incide la canzone a cappella, ai Sunset Sound Recorders di Los Angeles, facendola precedere da una bellicosa e ironica dichiarazione d’intenti: Vorrei fare una canzone di grande importanza sociale e politica, che fa così. È il primo ottobre 1970. Tre giorni dopo, lascia gli studios alle 11 p.m. con l’album Pearl praticamente finito e muore per overdose di eroina, la notte del 4, al Landmark Motor Hotel di Hollywood. La scopre il road manager John Cook: preoccupato per non averla vista ai Sunset Sound, va a cercarla in albergo, e si insospettisce quando vede parcheggiata la sgargiante Porsche di Janis. Joplin usa gli oppiacei, si è detto, per tenersi lontano dall’alcol che le fa perdere verve quando registra.

Nota in Janis (2019) la biografa Holly George-Warren, che la fama di hard drinking blues mama, in realtà nasconde agli occhi del pubblico il consumo di eroina: nel 1969 Joplin è addicted, seppure con alti e bassi. Si libera della droga all’inizio del 1970, quando forma la nuova band (Full Tilt Boogie), ed è felice e pulita durante il viaggio in Brasile per il Carnevale.

Quello che colpisce Warren è la naturalezza con cui Janis – al culmine del successo – trascorre la vacanza: è una ragazza hippie qualunque, che alza il pollice e fa hitchhiking – l’autostop non contempla né Porsche né Mercedes Benz. Un hitchiker abituale, per coincidenza e per spirito dei tempi, compare nella penultima canzone incisa da Joplin, quello struggente capolavoro che è Me and Bobby McGee di Kristofferson: Bobby thumbed up a diesel down/ just before it rains… Bobby alza il pollice e trova un passaggio prima che la pioggia bagni i due (ragazzi) che si erano trovati nel verso iniziale busted flat in Baton Rouge

Di ritorno dal Brasile, Janis riprende con l’eroina, smette ancora a primavera del 1970, ci ricasca per la pressione, per il bisogno di sentirsi in controllo, forse numb, quando lavora a Pearl.

Comunque. Il testo di Mercedes Benz si intona alle critiche al consumismo portate dal movimento hippie: “Non stiamo male per ciò che non è, ma per quello che non abbiamo” (Joplin, cit. da Chris Neal in Performing Songwriter, Issue 116, 2009).

La canzone, nella sua ostentazione di simboli di ricchezza, rimanda a una polemica, sentita ai tempi, sulle ragioni del blues e su chi poteva permettersi di cantarlo. Come può essere blues la ragazza bianca di Port Arthur, Texas, che vanta una buona famiglia? Per di più, diventata rockstar, non ha più problemi di denaro, anzi… Janis stessa risponde, con Kozmic Blues (vedi nota) e, implicitamente, con una frase pluricitata: “Sul palco faccio l’amore con venticinque mila persone, poi torno a casa sola”. Yes, she got the blues

Nonostante tutto, e con spregiudicatezza commerciale, la casa automobilistica tedesca usa la canzone di Joplin in uno spot per rinfrescare il brand nel 1995.

La Porsche hippie, invece, passa di mano più volte, da macchina di cortesia usata dal manager Albert Grossman diventa cimelio per vent’anni nella Rock and Roll Hall of Fame di Cleveland in Ohio; di ritorno agli eredi di Janis, viene riverniciata di grigio e poi di nuovo nei colori dell’arcobaleno, fino a battere il record d’asta di ogni Porsche 365, con $1.76 milioni di dollari: li sborsa una sessantenne del Michigan, che la presterà più tardi a vari musei (fonte: American Blues Scene).

La versione di Gould La voce di Janis che intona Mercedes Benz si può ascoltare quasi a sorpresa nella terza parte di The Solitude Trilogy, un eccentrico radio documentario di tre ore concepito tra il 1967 e il 1977 dal leggendario pianista Glenn Gould (1932-1982).

I tre documentari realizzati per la Canadian Broadcasting Corporation rappresentano per il reclusivo Gould una sorta di “autobiografia radiofonica” che riflette sul tema del “ritiro dal mondo”.

Il blues di Joplin compare all’inizio di The Quiet In The Land, la terza parte del progetto, dedicata all’impatto dei valori della modernità sulla comunità Mennonita di Red River, Manitoba: è una sorta di contrappunto alla voce narrante di Gould. Tra le altre musiche scelte dall’eccentrico genio canadese, cori di chiesa, la sarabanda per la Suite N. 4 di Bach in Mi maggiore e un coro di bambini da Benjamin Britten.

Nota – Kozmic Blues Secondo la spiegazione di Holly George-Warren: She had learned this kind of existential, dark philosophy from her father, who called it the “Saturday night swindle,” which was basically the idea that no matter how hard you work, how much you try to achieve your goals, you’re never really going to be happy. There’s always going to be a let-down. There’s always going to be disappointments — which was [a] pretty dark attitude when you think about that whole ’50s positivism etc., post-World War II America. Janis called this idea the “kozmic blues,” and it really did dog her.

Qui, il sito ufficiale che ricorda JJ

 

Credit: foto apertura di Elliott Landy. Sergio Calleja, Barcellona, Benutzer Vic Dorn, ABC television

 

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