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Allonsanfàn
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Il nuovo David Copperfield: tante, troppe meraviglie, con cari saluti a Dickens

Dimentichiamoci subito il David Copperfield di George Dewey Cukor (1935) e pure, per gli italiani che se lo ricordano, il mitologico sceneggiato Rai di Anton Giulio Majano (otto puntate tra 1965-66): nel nuovo film basato sul romanzo di Charles Dickens, non sentiremo come al solito “all that David Copperfield kind of crap” (1), per dirla con Holden Caulfield, poiché siamo da subito frullati in una turbo versione – con innesco teatrale up-to-date ma più tardi lampi di London via computer – guidata da Armando Iannucci (Glasgow, 1963) in un clima molto più comico che dark, per grandi piccoli e medi spettatori, e dominata dalla capricciosa libertà di rinvigorire la ben nota – agli inglesi di certo, non so a voi, a noi così così – trama.

Punto di forza, la verve del nuovo David, il prestante Dev Patel (2), energico ma con doppio fondo di tenerezza, e un gran coro di britannici attori, splendidi e gigioni – Peter Capaldi, Tilda Swinton, Hugh Laurie – a fare Micawber, Betsey Trotwood e Mr Dick (non il Dr House), con menzione d’onore per il cupo Uriah Heep, ragioniere del terrore, di un Ben Whishaw che imita il Riff-Raff del Rocky Horror. Tutti al top e perciò forniti di libertà incondizionata nel mettere in lavatrice – per farli risplendere – i vecchi costumi dei loro personaggi.

Il cast al completo. In alzo, Dev Patel

Mr Dickens scriveva a puntate, e doveva avvincere, ma Iannucci – qui al terzo lungometraggio dopo In the Loop e Morto Stalin, se ne fa un altro – filma troppo di corsa e correndo verso il pubblico, colorando di meraviglia pop ogni atto della sua storia e, per non perdere neanche un secondo l’eye contact con la sala, finisce col metterci in ansia come il coniglio di Alice che ha l’ossessione di essere sempre in ritardo. In ritardo per che cosa, poi? Noi poveracci, tornati a casa a ciglio totalmente asciutto, ci affrettiamo a cercare in biblioteca un David Copperfield qualsiasi, anche quello in versione ridotta per bambini, per rileggere un po’ di quella “kind of crap” da capo.

Alcuni critici blasonati e patriottici in UK non hanno vissuto il nostro stesso trip da dilettanti allo sbaraglio. Mark Kermode sul Guardian parla infatti di un Patel chapliniano – e qui gli possiamo pure andar dietro -, di qualità alla Terry Gilliam di alcune scene, in cui il grandangolo rende il senso di infantile stupore – d’accordo! – e, più in generale, di “a surreal cinematic odyssey that is as accessible as it is intelligent and unexpected” – e qui invece diciamo: giudicate voi. La vita straordinaria di David Copperfield è nei cinema dal 16 ottobre.

(1) “quelle baggianate alla David Copperfield”, secondo la classica traduzione de Il Giovane Holden di Adriana Motti (Einaudi, 1961)
(2) Patel è un “British actor of Indian heritage”, certo, ma Iannucci si è detto why not? “For the people in the film it’s the present day”, ha spiegato

 

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