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De Gregori, tutti i testi letti uno per uno per 720 pagine nel libro enciclopedia di Enrico Deregibus

Nel faticoso rapporto tra la stampa italiana e il nostro Pantheon di cantanti e cantautori, vige un rispetto esagerato di noi pennivendoli che fa da contraltare ai dignitosi ma decisi dinieghi all’intervista da parte degli immortali votati all’arte. Ci sono le opere a parlare, suggeriscono, indicando il loro alato prodotto con il moto di un sopracciglio.

Giusto: le opere. Esistono brillanti prove con cui, partendo da esse, si può colmare il vuoto di notizie (pure pettegole) di cui sono assai avidi i fans. Con acribia certosina, Enrico Deregibus ha dedicato un libro intero alle canzoni di Francesco De Gregori, soprannominato il Principe per l’eleganza naturale e (credo) pure per l’alterigia aristocratica che muove da sempre le sue mosse.

Dove per “libro dedicato alle canzoni” si intende che le canzoni sono trattate una per una. E Deregibus può ben considerarsi un professore emerito in degregorese, avendo già pubblicato sul cantautore romano una biografia nel 2003, aggiornata poi nel 2015 col titolo Francesco De Gregori. Mi puoi leggere fino a tardi (Giunti), prima di decidere per questo volume autonomo (Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni, sempre Giunti, ben 720 pagine) che riporta tutti i versi, supervisionati da De Gregori stesso. Nessuno potrà più dire che in Buonanotte Fiorellino il Principe canta “Buonanotte mogliettina” e non “monetina”.

Con Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni vengono soddisfatte curiosità nell’arco di un mezzo secolo e spesso su questioni essenziali riguardo gli estri di un vate che agli esordi passò per “ermetico” – non nel senso della corrente letteraria, ma dell’incomprensibilità enigmatica di alcune canzoni. La qual cosa – intesa come sega mentale da decadente borghese – lo rese per un certo periodo negli anni Settanta inviso all’ultra sinistra (vedi il drammatico processo subìto sul palco del Palalido milanese – altri tempi).

Prendete uno di questi pezzi apparentemente misteriosi, Informazioni di Vincent da Cercando un altro Egitto, che in versione live sentimmo presentare da De Gregori con una domanda retorica: “Non so se a voi piace Indro Montanelli?” (Boato: “No!”). Scopriamo adesso che il testo dedicato alle distorsioni dei media racconta sotto traccia anche il dispetto del Principe perché la sua traduzione di Vincent (la canzone bandiera di Don McLean) era stata affidata a Little Tony: non proprio un compagno, neanche di strada.

Così come diverte sapere che Pezzi di vetro (da Rimmel) – secondo sondaggio il pezzo più amato dal pubblico femminile – nasce da un concretissimo lampo di gelosia passionale occorso a De Gregori in Piazza Navona. Questo in gloria a chi cerca per forza lo spillo nel grande pagliaio di metonimie e metafore.

A proposito di cosiddetti brani cult: sfogliando l’enciclopedia dell’enciclopedico Deregibus, si possono misurare anche gli sbalzi d’umore del cantautore verso i propri versi, che lo hanno portato nel corso del tempo a “congelare” alcuni pezzi mitici, come Bene (sempre da Cercando un altro Egitto, e forse più noto oggi ai ragazzini nella versione di Vasco Brondi) il cui struggente “e puoi chiamarmi ancora amore mio” non è stato cantato live più di tre volte.

Altro possibile gioco: dare nomi e cognomi ai personaggi citati nelle canzoni. Dai più facili, come Il signor Hood (da Rimmel), il quale è Marco Pannella – e qui c’è tutta la storia – o il pianista di Piano Bar (idem) che non è proprio Antonello Venditti – perché poi il Principe avrebbe dovuto insultarlo così? Lo scudo del testo tra l’altro allude al simbolo della DC e non alla squadra della Lazio. Fino ai più difficili, almeno per me, come il chitarrista Chicco di Caffé di Rollo & His Jets (da Titanic) o la Caterina incantevole, sempre dall’album del Transatlantico, che è Caterina Bueno, protagonista della musica popolare e sodale ai tempi antichi del Folkstudio, e al proposito della quale Deregibus svela un aneddoto su un verbo che “balla” a seconda delle esecuzioni (un “consolare” messo al posto di un “conquistare”).

Mentre giustamente non ha un nome e un volto (o un nome e un volto solo) l’amore perduto in Rimmel, ma apprendiamo intanto che il verso dello zingaro lettore di carte è stato ispirato da un’altra esperta in previsioni amorose, Enrica Puny Rignon, prima moglie di De André, anche se la sorpresa qui è scoprire che il più spietato critico del testo – spesso accusato di prolissità – è il De Gregori stesso, che sovente in queste pagine per dirla alla Fantozzi diventa “quasi umano”.

Insomma, ciò per fare degli esempi: si ha tra le mani un libro che dà tantissimi piaceri così. Da leggere andando di seguito oppure saltando qua e là. E va detto a onore di Deregibus che, nella sua maratona divisa in una lunga sequenza di cento metri, si comporta da cronista avvalendosi di una bibliografia senza confini e, come promesso nell’introduzione, non fa mai il critico cattedratico di poesia e non poesia.

Chiudiamo con un paio di dubbi nel settore delle “influenze” musicali. Troviamo conferma che il valzer di Buonanotte Fiorellino (da Rimmel) è preso di peso da Winterlude di Bob Dylan: oltre al tempo in tre quarti, noi aggiungeremmo che è prestato dal premio Nobel di Duluth anche il verso del titolo (il fiorellino), che arriva dritto dal little daisy (la margheritina) del pezzo di New Morning. Pure da Winterlude (munita di un “my little apple”) sembra derivare la Piccola Mela, vicina di solco del romantico valzerino. E non è che ascoltando Natale (dall’album De Gregori) si sente una eco più che persistente di Christmas in Prison di John Prine (vedi musica e versi: I’ll probably get homesick, I love you, goodnight)? Non importa davvero la risposta. Libri come questo sono preziosi proprio perché inducono, oltre alla riflessione, il dibattito infinito tra gli aficionados.

Enrico Deregibus

IL LIBRO Enrico Deregibus, Francesco De Gregori. I testi. La storia delle canzoni, Giunti

 

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