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Allonsanfàn
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Netflix hits. È Bridgerton, per il momento, la serie del momento

Ogni settimana, con pervicace puntualità, assistiamo al debutto della “serie tv del momento”. L’ultima, che ha incantato tutti, è stata La regina degli scacchi (anche perché aveva dietro un romanzo come quello di Walter Tevis, e non è poco), adesso è la volta della serie Netflix Bridgerton.

Folgorante come la scacchiera arcana di Beth Harmon? Certo che no. Vale la pena vederla? Massì. Uscita da un magnifico frullatore dove sono stati accuratamente dosati e mischiati tutta una serie di ingredienti, non c’è dubbio che il sapore finale funzioni: dolce perché di amore si tratta, agro perché cinismo e ironia abbondano, speziato dalla presenza di parecchi nobili di colore (inseriti in stile colour-blind casting non tanto per il politically correct, quanto per dare al tutto un tocco bizzarro e straniante). E se la storia ricalca i romanzi rosa di Julia Quinn, impossibile non intravedere il meglio di certa narrativa di due secoli fa. Sullo sfondo di un Ottocento inglese finto e colorato come un carillon, si muovono figurine che a tutti (o almeno a gran parte del pubblico femminile) ricordano qualcosa.

La famiglia Bridgerton è parente stretta di Piccole donne, con una madre il cui unico obiettivo è accasare le varie figliole: a partire dalla graziosa gatta morta (ma occhio alle apparenze) Daphne. Ancora: nei balli tra Dapnhe e il suo finto (ma forse vero) pretendente, il duca ambrato, rivediamo gli stessi sguardi tra disprezzo e attrazione che si scambiavano l’odioso e magnifico Mr Darcy e la petulante Elisabeth di Orgoglio e Pregiudizio.

Nel grottesco gioco di ruoli, tra gossip anonimi, sussulti repressi e sbandierate ipocrisie, ecco affiorare poi un pizzico, e qualcosa di più, degli impietosi affreschi sociali di Trollope. E quella terribile sovrana di corte, scura e annoiata come una pantera allo zoo, potrebbe certo decapitare i suoi sudditi, se ne avesse voglia, con la stessa rabbiosa noncuranza della regina di cuori di Lewis Carroll.

Detto tutto ciò, sarà piacevole, e assai divertente, vedere ogni episodio. E dimenticarsene in fretta, aspettando la prossima “serie del momento”.

A margine Si sono già sviluppati in Usa un partito pro e uno contro alla produttrice Shonda Lynn Rhimes (Chicago, 1970), showrunner per Grey’s Anatomy, Private Practice e il political thriller Scandal, ma il massimo responsabile di Bridgerton è lo showrunner Chris Van Dusen, già braccio destro di Rhimes per Scandal. Osannatelo, ignoratelo o prendetevela con lui.

  • Alice Caroli è una giornalista torinese

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