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Allonsanfàn
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L’album del giorno. Collage de Le Orme (1971): quando il giradischi suonava prog rock

Sembra ieri, sono 50 anni fa, giorno più giorno meno. 29 gennaio 1971 (1): compare nei negozi di dischi un album di prog rock italiano – ma allora non ricordo se dicevamo già progprogressive tutto intero – con in copertina tre musicisti imbiancati tra i sepolcri di un cimitero – praticamente dei fantasmi evocati dall’efficace progetto design di Mario Convertino.

Insomma: esce Collage de Le Orme – cioè come da cover Antonio Pagliuca, Aldo Tagliapietra, Miki Dei Rossi – che è il primo dei tre celebri album apparsi all’alba del nostro prog, gli altri essendo Storia di un minuto della Premiata Forneria Marconi (gennaio 1972) e il disco del salvadanaio del Banco del Mutuo Soccorso (maggio 1972). Per indicare delle pietre miliari estere che ritrovo oggi tra i miei vinili, In the Court of the Crimson King è dell’ottobre 1969, H to He dei VdGG del dicembre 1970, circa un mese dopo il primo album di Emerson Lake & Palmer.

Ma diamo a Le Orme quel che è loro: Collage proponeva un aggancio al “classico” e pure al jazz che dava l’idea di una riappropriazione e presentava testi semplici e laconici, quasi lividi, che parlavano (anche) di dura realtà: prostituzione (Era inverno), droga (Morte di un fiore), angosce metropolitane assortite (Cemento armato).

Un cocktailcollage forte. Certo, il brano strumentale che dà il titolo all’album è un’ingenua mistura di Bach-Mozart-Beethoven così come se li deve immaginare un orchestrale che trova incustodito in un baule in soffitta un patrimonio immenso di note. Ma è troppo ghiotta l’occasione di modernizzarle, ancor più se si può smanettare ai comandi di un moog – Walter (Wendy) Carlos pubblica Switched on Bach nel 1968 e la colonna sonora di Clockwork Orange esce nel 1972 – ed è tutto sommato naturale che il ragazzino 12enne che ero si esaltasse, sorpreso di vedere così espropriato il sound tipico degli anziani.

Per me, la sorpresa vera di Collage era che il climax dei pezzi non stava in un breve refrain cantato, come nelle canzonette o nel pop rock in genere, ma in quello che fino al giorno prima sarebbe stato il contorno del brano e ora invece avrebbe potuto svolgersi in modo illimitato – penso ai lunghi muggiti del moog, appunto, o ai voli di mellotron (allora inseriti nelle partiture prog come boccate d’ossigeno puro per balaustrate ecclesiali popolate di angeli pop più o meno teppisti) o alle svisate d’organo Hammond di cui Antonio (Toni) Pagliuca era un notorio aficionado.

L’entusiasmo dei pionieri pagava qua e là in termini di tecnica e virtuosismo – Miki Dei Rossi passava per il Palmer veneto, ma gli altri due non erano Emerson e Lake – e però chissenfrega: non sono stati poi tecnica e virtuosismo a causare l’imbolsimento e la morte del primo prog?

Non so più se comprai Collage il giorno stesso che uscì, ma quasi. Perché ricordo bene quando un giorno ascoltai per radio House with no Door (1970) dei VdGG, e rimasi incantato dalla voce fiera e adolescenziale, disperata e alata, di Peter Hammill, uno dei tre Pietri del progressive – gli altri sono naturalmente Peter Gabriel e Pete Sinfield dei King Crimson; be’, allora capii che nel mondo avevo un amico un poco più grande, che esprimeva perfettamente quello che sentivo. Grazie Peter (ma questa è un’altra storia) e grazie Toni, Aldo e Miki che siete arrivati subito dopo.

Corrispondenza da fan con Toni Pagliuca

(1) Per celebrare l’anniversario, Collage torna in vendita in un’edizione limitata in vinile e rimasterizzata dai nastri originali, una uscita da collezionisti che fa parte della collana Prog Rock Italia (Universal).

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