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Allonsanfàn
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Mostre di nuovo aperte. Frida Khalo a Milano (ma anche su Google)

“Io non sono solo brava, io ci sono e sopravvivrò alla mia morte”. Lo dicono gli occhi di Frida Khalo nei tanti autoritratti che scorrono sulla piattaforma di Google riservata all’arte, Google Arts & Culture, che le dedica una retrospettiva digitale con oltre 800 opere, fotografie, lettere private, vestiti e oggetti.

Se a Torino la mostra Frida Kahlo through the lens of Nickolas Muray, che nella Palazzina di Caccia di Stupinigi avrebbe esposto da questo mese 60 fotografie che la ritraggono, realizzate dal fotografo Nickolas Muray, è stata rinviata al febbraio 2022, a  Milano, alla Fabbrica del Vapore, fino al 2 maggio è in programma Frida Khalo il caos dentro, un percorso sensoriale a lei dedicato con proiezioni tecnologiche, che riprendono la sua biografia e le sue opere.

Nella retrospettiva Faces of Frida sulla piattaforma Google è possibile visitare virtualmente Casa Azul, la casa blu, in un sobborgo di Città del Messico dove Frida Khalo nasce nel 1907 e muore a 47 anni. Casa Azul, oggi museo, è stata donata al popolo da suo marito, quel Diego Rivera che, con Leon Trotsky e André Breton, nel 1938 firma il Manifesto per un’arte rivoluzionaria indipendente proclamando l’assoluta libertà del pensiero artistico e la legittimità di essere anarchico.

Frida Khalo Fabbrica Vapore

Da un punto di vista filologico, nelle opere di Frida Khalo non si trovano contenuti esplicitamente rivoluzionari come l’eroismo dei contadini o la decadenza dei valori borghesi, per intenderci. Ma l’artista posticipa la sua nascita al 1910, l’anno d’inizio della rivoluzione messicana che abbatte la dittatura militare. Abbraccia la causa volendosi congiungere al principio di importanti cambiamenti in Messico, uno per tutti l’educazione di un popolo rimasto troppo a lungo analfabeta.

Nel diario della sua vita si scopre una ragazza di buona famiglia che s’immerge in esperienze omosessuali, in passionali rapporti eterosessuali, sposa due volte Diego Rivera e compie volontariamente numerosi aborti. Si scopre anche la sua malattia perché nasce con la spina bifida e all’età di 18 anni è coinvolta in un grave incidente che le costerà nel tempo 32 interventi chirurgici.

La sua resistenza alla forza patriarcale e alle convenzioni non riesce a cancellare un che d’inconsapevole e di ingenuo che spiega come dal padre passi alla protezione di un marito di 20 anni più vecchio di lei. E spiega anche come la Khalo nei suoi quadri esibisca tutto, ferri chirurgici, cuore, lacrime, feti, senza volontà di provocazione. La sua casa blu, il suo letto e la malattia creano un’intimità dove coltivare lo spirito. Espone il suo dolore senza pudore e senza alcuna ambizione, tranne forse quella di aiutare se stessa a resistere.

Negli autoritratti indossa abiti tipici messicani ed è circondata da oggetti popolari o immagini religiose scoperte nelle chiese locali, simboli dell’amore profondo per la sua terra. Sono tele di dimensioni molto piccole e percorse dal tema dell’esistenza dell’io e dell’espressione della sofferenza. Sparisce lo sfondo, non c’è profondità, resta il volto a raccontarci la sua solitudine.

Non si può prescindere dalla sua biografia se si sfoglia il catalogo delle opere e non deve spaventare il numero di quadri proposti nella retrospettiva, perché scorrendo le immagini è interessante scoprire che cos’altro nasconda quello sguardo fiero dipinto ripetutamente in una ossessiva rappresentazione di sé. Incorniciato da folte sopracciglia nere, diventa il punto focale del volto dove le forme avvampano in un colore forte dato a brevi tocchi.

È il suo stile, suo e non riconducibile a un movimento artistico, nemmeno al surrealismo, come molti sostengono. È lei la prima a opporsi, affermando di non dipingere sogni ma la sua realtà. Ad allontanarla dal surrealismo è anche l’assenza di ambizione letteraria. La sua realtà è popolata dai sentimenti, dalla colpa e dall’amore, dal desiderio, dal dolore, dalla gelosia che attraverso il processo creativo assumono una forma, una plasticità e un colore che smascherano ogni loro lato nascosto. Dietro il suo sguardo s’incrociano la vita e la morte, l’eros e la malattia, il timore inconscio e l’instabilità reale. Tutto mostrato per quello che è, senza complicati simbolismi. Nel creare le forme e nel trasformare i sentimenti in un dato oggettivo stabilisce la distanza tra l’immagine e lo spettatore.

Suo padre e suo nonno materno erano fotografi come uno dei suoi amori più importanti, Nickolas Muray, senza contare la sua amicizia con la fotografa italiana Tina Modotti. E lo sguardo fisso come di fronte all’obiettivo, la posa di tre quarti, lo scorcio dal basso o dall’alto rubano alla sua esperienza di modella e ai trucchi della fotografia.

Trasforma il ritratto in un’icona, lo spettatore è a sua volta osservato e lei scrive: “Bisogna che il quadro vi guardi quanto voi lo guardate”.

Il ritratto e la fotografia si riallacciano al tema della morte perché sono un ricordo e una testimonianza di chi non c’è più. E in un’epoca in cui la donna messicana non conosceva alcuna affermazione professionale e nei musei mancavano tele di autrici, la Kahlo, nella Casa Azul, dipinge i piccoli quadri che ancora oggi, a settant’anni dalla sua morte, sono celebrati in ogni parte del mondo.

Ma Frida Khalo non è solo questo, è anche questo, e chi l’osserva raramente dimentica il suo sguardo.

  • A oggi la mostra di Milano è aperta ma si consiglia di consultare il sito per i giorni e gli orari che possono variare con i Dpcm sull’emergenza sanitaria.
  • In apertura: una delle foto di Nickolas Muray che avrebbe dovuto essere in mostra nella Palazzina di Caccia di Stupinigi a Torino. La rassegna è stata rinviata al 2022. @Nickolas Muray Photo Archive
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