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Allonsanfàn
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La gatta, Borges e il foxterrier. Due racconti magistrali di Giovanni Mariotti per chi ama gli animali (e la letteratura)

Ho la gioia di avere tra le mani un piccolo e prezioso libro di quel patito dell’irrilevanza – rubo la definizione a Laura Casalis – che è Giovanni Mariotti, scrittore anzi scrivente.

La gatta, Borges e il foxterrier, edito nel dicembre 2020 da Il Labirinto Scritto è (quasi) nuovo di zecca: e la data ha un’importanza, poiché si tratta – come scrive Casalis in tre pagine di prefazione che sono quasi il terzo racconto del libro – del primo volumetto in prosa nato con lei supplente dell’editore scomparso Franco Maria Ricci.

Giovanni Mariotti dal canto suo ha il merito di averla costretta al passo, spedendole due testi magistrali e irrinunciabili, dedicati a un gatto vero e a un cane pure.

Sono racconti vertiginosi che, dietro una bonomia apparente, costeggiano con intelligenza aguzza e anche fuor di metafora i precipizi del quotidiano – tra parentesi, Mariotti qui parla del cieco Borges, essendo lui piuttosto e da sempre un Mr Magoo che però vede benissimo.

Primo racconto. Il tema della scelta ponderata compiuta da una gatta, che pare desiderosa di eleggere i coniugi Mariotti a suoi nuovi referenti bipedi, rimanda l’eco della stessa scelta/necessità dello scrivente di abitare lo spazio delle pagine.

Nella cautela della gatta durante l’avvicinamento ai prossimi compagni di vita, trovo la medesima ponderatezza ed eleganza di Mariotti che soppesa le parole e percorre poi con grazia le frasi che lo avvicinano al linguaggio e al carattere dell’amica non umana. Forse che la letteratura non è il modo più nobile di dare espressione a chi non può parlare (o alle cose che fatichiamo a dire)?

Il passo a duea tre, comprendendo la moglie Luisa – si spinge ad abbracciare, fingendo noncuranza, una riflessione sulla nostalgia di compiutezza di chi – come la gatta, come noi tutti – ambisce a percepire il Pleroma e poi si trova – quasi in modo augurale! – ad abitare case di cui non possiede i muri.

Il secondo racconto tratta di letteratura e filosofia – nel caso, Schopenauer – in modo più evidente, riportando un episodio reale occorso al più mancato dei premi Nobel: un soggiorno di Jorge Luis Borges ospite nel 1983 di Franco Maria Ricci si infiamma del formidabile duello che, a sorpresa, si consuma tra il poeta cieco e il cane di casa, il foxterrier a pelo ruvido Mr Jones.

È un’antipatia reciproca, di cui Mariotti indaga ogni possibile livello rivelandosi infatti essa una questione attinente alla specie, alla posizione sociale, oltre che a uno stadio squisitamente individuale.

In questo pezzo di bravuraper di più esilarante, in alcuni punti si può ridere fino alle lacrime – Mariotti riesce a calzare le scarpe del non vedente e a caracollare con lui per la pericolosa casa sconosciuta, così come a mettersi “nelle zampe” del pestifero canide, di cui con sensibilità (e una prudenza che ricorda di nuovo quella della gatta) ricostruisce non tanto il pedigree quanto la vera vita e dunque le reali ragioni di un’ostilità.

Leggete e godete di ognuno dei brevi paragrafi: alla fine capirete in che senso Jorge Luis Borges – Don Luis, come lo chiama inaspettatamente un cameriere e come gli si rivolge Mariotti in due “a parte” – era un uomo della classe moyenne e forse apprenderete qualcosa del suo mistero ritornando a un episodio di tanti anni prima in Argentina, che lo vede accanto a Silvina Ocampo e al cane Luron.

Luron forse vendicato da Mr Jones. La caduta al rallentatore dell’anziano scrittore a opera del cane, come sappiamo, non avrà per fortuna (!?) conseguenze letali.

***

A margine. Devo delle scuse a Giovanni Mariotti, perché nel lontano 1984 presi in antipatia il treno che avrebbe dovuto portare il giornalista Uc de la Bacalaria verso l’immaginario, anzi immaginato, luogo di Butroto – il romanzo uscì il primo gennaio per i tipi allora assai prestigiosi di Feltrinelli.

Ebbi in antipatia di quel libro il mezzo di locomozione magrittiano ritratto in copertina e Mariotti stesso che nell’identikit dell’aletta pareva essere il classico giornalista “arrivato” (a L’Espresso, nel caso, da cui peraltro aveva già preso il largo). Io invece ero depresso da un primo impatto con il mondo dei giornali.

Scaricai insomma sullo scrivente di un umile romanzo (di cui non afferrai incredibilmente l’ironia azzerante e l’ilarità nichilista) la mia invidia. Per meglio dire: scaricai la mia ignoranza su un nobilissimo outsider delle patrie lettere – altro che radical chic, come si direbbe oggi – e soprattutto non incasellabile in alcun cliché, a parte forse quello dei Grandi Irregolari.

Ma che fortuna ora! Posso rileggere in pace Butroto nella prima edizione ai tempi bistrattata: è miracolosamente ricomparso in una pila di volumi, mentre stavo scribacchiando delle lodi sulla grandezza di un altro librino di Mariotti, Piccoli Addii (Adelphi) – se volete, ne ho parlato qui.

Per il cane e la gatta di oggi, invece, il sito di riferimento è questo. Auguro ai due – anche se dove sono non gli importerà niente e idem se ci fossero – un futuro da best seller.

 

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