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Kent Haruf negli Oscar. Un viaggio a Holt, Colorado

Dal 2 aprile 2024 la Trilogia della pianura di Kent Haruf è entrata negli Oscar, grazie all’accordo con NN (i titoli: Canto della pianura, Crepuscolo e Benedizione). Qui, una ricognizione nel suo mondo, leggendo l’ultimo romanzo uscito in Italia, La strada di casa

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Mi è capitato di sentir pronunciare da un dispregiatore seriale di best seller, cioè di quei romanzi che piacciono al di fuori di una cerchia di happy few, la sentenza: “Ma chissenfrega di quelle due bambine napoletane” – il best seller del caso era quello di Elena Ferrante.

Così, in identico modo, ho incontrato lettori altezzosi che non volevano fermarsi neanche per un caffé americano a Holt, Colorado – Holt è la città immaginaria, la “piccola città” dei romanzi di successo (qui da noi imprevedibile e postumo) di Kent Haruf (1943-2014), una località da cui non si vede, ma s’intuisce, uscendovi e guidando per un po’, il profilo delle montagne.

Questo scorgere o non scorgere le montagne o credere di poterle ammirare ”da subito”, come abbiamo capito leggendo l’esergo e poi il testo di La strada di casa (NN Editore) è un discrimine per come tutti, non solo da quelle parti, prendiamo la vita. Già questa ci è parsa una questione interessante. Ma proseguiamo.

La strada di casa uscito negli Stati Uniti nel 1990, sei anni dopo Vincoli, e rimasto fino a ieri l’unico romanzo di Haruf non tradotto in italiano – permette di sedersi per 200 e passa pagine di Kindle a fianco del direttore del settimanale locale – un foglio tutt’altro che pretenzioso, potrebbe al limite pubblicare soltanto i nuovi nati e i necrologi, avvisare di chi arriva e di chi se ne va. Il giornalista Pat Arbuckle è l’uomo che qui racconta la storia, in modo pacato, neanche avesse imparato a respirare piano e osare poco perché la realtà – i fatti della sua vita – è stata spietata con lui.

Il tempo del respiro è reso dalla traduzione in un italiano vero e piano, senza strappi o americanismi di maniera, da Fabio Cremonesi che – ci sembra – è riuscito a fare una traduzione virtuosa e rara, ossia non ha tradotto le parole una per una ma il ritmo e soprattutto il mood (per usare noi l’americanismo di maniera) dell’originale.

Attorno al personaggio che scrive e a quello che vive (male) si svolge la routine della cittadina, appare il coro greco delle persone concrete che mandano avanti il mondo umilmente ogni santa mattina. Mano mano che ne conosciamo gli abitanti, gli scrutatori delle montagne, della “tenue linea frastagliata all’orizzonte” – quelli che la vedono, quelli che non l’hanno mai vista e quelli che non la vedono più –, ci troviamo a casa anche noi, in una casa letteraria, fatta di frammenti di tanti libri americani letti (cito nel mio ordine cronologico) dal William Saroyan de La commedia umana (Edizioni Scolastiche Mondadori, 1965) in poi.

Il direttore del settimanale di Holt narra la storia di un personaggio che gli è opposto ma speculare. Jack Burdette, il più valido giocatore di football del liceo, che fa tutto d’impulso con il cervello staccato, quasi seguisse un’ispirazione che gli viene dal sangue – il sangue di una parte di Holt – e finisce per sputtanare la sua vita e danneggiare quella degli altri, trovandosi a dividere con Arbuckle l’unica cosa importante per lui: una donna, Jessie, che è in realtà un’idea dell’amore e delle proprie possibilità intese come il perimetro concesso alla felicità umana – il perimetro o orizzonte, come si diceva, che Arbuckle si potrebbe fare andar bene e su cui Jack Burdette sputa forse anche suo malgrado.

A Holt si trova tutto il mondo letterario. È sì la “piccola città bastardo posto” di Kent Haruf, ma più che altro, e al di là delle parentele, è un luogo fisico attraverso cui uno scrittore fa passare con pazienza la sua visione dell’esistenza, per intrattenerci – e infatti in La strada di casa ci sono persino troppi colpi di scena – e per spiegarci che cosa vuol dire vivere (ritorniamo all’esergo).

In questa visione entra pure l’influenza metafisica di una religione severa, il protestantesimo metodista del padre di Haruf, che chiede di risarcire – the restitution, vedi la postfazione di Cremonesi – per quello che abbiamo avuto in dono e poi sprecato.

Haruf svela come si sentono lui, Pat Arbuckle, Jack Burdette, e Jessie, la ragazza che si trova tra di loro, e che è il personaggio che risarcisce per tutti, il più tormentato e luminoso, quello di cui il lettore finisce per innamorarsi.

Quando finisce il romanzo, in un modo spiazzante rispetto al suo andamento, abbiamo deciso che qualcosa ce ne frega di Holt e che cerchiamo altri pretesti e romanzi, quelli della Trilogia, per tornarci. Di sguincio aggiungiamo, per rifarci al nostro incipit, che forse non è tempo sprecato neanche fare due passi a Napoli.

Kent Haruf

IL LIBRO Kent Haruf, La strada di casa, traduzione e postfazione di Fabio Cremonesi, NN Editore

Credit: “Hacienda Motel, Yuma, Arizona” by Thomas Hawk is licensed under CC BY-NC 2.0

 

 

 

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