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Allonsanfàn
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Storie. Il tuono del duca: quando Ellington incontrò Shakespeare

Edward Kennedy Ellington è un “ragazzo del ’99”. È nato a Washington, in una famiglia nera; orgogliosamente nera. Suo padre e sua madre ricordano bene che i loro genitori sono stati schiavi, ma ormai la loro è una famiglia della borghesia nera della capitale federale. Il padre ha un buon lavoro: è il maggiordomo di uno dei medici più importanti della città e occasionalmente viene chiamato anche alla Casa Bianca, durante la presidenza di Warren G. Harding. Naturalmente sanno che l’America è un paese profondamente razzista, che Edward sarà discriminato per il colore della sua pelle, ma possono ancora sperare che le cose cambieranno. In meglio. Suonano entrambi il pianoforte – James ama molto l’opera – e così anche al figlio viene insegnato a suonare il piano. A Edward il pianoforte piace – e gli piace la musica classica che sente in casa – ma gli piace anche di più come suonano il piano nelle sale di biliardo del West End: gli piace il ragtime, gli piace quello che sta per essere chiamato jazz.

Quel ragazzo è sempre elegante, a volte un po’ affettato, per questo gli amici cominciano a chiamarlo Duke, il Duca. Edward è un artista, è bravo a disegnare, a comporre manifesti, è quello il suo lavoro, ma quando un cliente va da lui per commissionargli una locandina per una festa da ballo, Edward prima di tutto gli chiede se ha già trovato qualcuno per suonare e comunque si propone di farlo lui, a un prezzo stracciato, locandina compresa. Un’offerta che molti accettano, anche perché quel ragazzo è proprio bravo a suonare il piano, è bravo a far ballare la gente.

Nella metà degli anni Cinquanta Duke Ellington è ancora il re del jazz, ma i tempi sono molto cambiati da quando la sua orchestra suonava tutte le sere al Cotton Club. Le grandi orchestre degli anni Trenta e Quaranta, l’età dello swing, non esistono più. Resiste soltanto quella del Duca, perché nessuno come lui sa condurre una grande orchestra, trovare i musicisti migliori e farli suonare come non hanno mai suonato in vita loro. Sono ormai pochi quelli che suonano con lui dall’inizio, molti hanno ormai una loro orchestra, ma la sua capacità di valorizzare i musicisti non è mai venuta meno.

Il mondo però è cambiato ed è cambiato il jazz e molti principi aspettano che il vecchio Lear si faccia da parte. Edward Kennedy Ellington però è ancora capace di fare le sue magie, è un duca spodestato che è diventato un potente mago, e nel 1957 vuole dire al mondo che il jazz, il “suo” jazz, è ancora una musica capace di raccontare storie. E dove si trovano le storie più belle? Ovviamente nelle tragedie e nelle commedie del Bardo di Stratford on Avon. Allora Duke e Billy Strayhorn cominciano a “rispolverare” il loro Shakespeare.

Ho già dedicato una delle mie storie a Billy. Dal 1938 al 1967 Strayhorn è l’alter ego di Duke Ellington. Questi due artisti, pur così diversi per temperamento e carattere, sono in perfetta simbiosi, ciascuno di loro può terminare di scrivere quello che ha cominciato a comporre l’altro. E nessuno avrebbe colto la differenza.

Per molti anni il suo ruolo non è stato abbastanza riconosciuto e certamente Billy ne soffriva. Per un paio d’anni, dal ’53 al ’55, ha smesso di lavorare con l’orchestra di Duke, ha smesso di curarne gli arrangiamenti, ha smesso di comporre canzoni, ma poi decide di ritornare – anche perché Duke accetta che tutto quello che pubblicheranno da quel momento sarà “firmato” da entrambi, indipendentemente da chi lo ha effettivamente composto – e insieme scrivono Such Sweet Thunder, una jazz suite di dodici pezzi dedicati a Shakespeare. Ma nonostante l’impegno di Duke nessuno parlerà di Billy, non sarà mai menzionato nelle recensioni, neppure quando muore per un cancro ed Ellington pubblica uno dei suoi album migliori intitolato …and his mother called him Bill.

L’occasione per scrivere questa suite così originale è loro offerta da uno spettacolo che l’orchestra di Duke Ellington fa nel ’56 allo Shakespeare Festival della cittadina di Stratford nell’Ontario, dove da soli tre anni alcuni appassionati hanno cominciato ad allestire questa rassegna, grazie anche alla disponibilità di alcuni grandi attori, come Alec Guinness che nella prima edizione del ’53 mette in scena Riccardo III e Tutto è bene quello che finisce bene senza richiedere alcun cachet. Ellington e Strayhorn decidono di rimanere al festival per un’intera settimana, dopo il concerto, incontrano studiosi del Bardo, parlano e si confrontano con loro. Billy ama moltissimo le sue opere teatrali, le cita di continuo, qualcuno nell’orchestra lo chiama Shakespeare, e anche nella biblioteca di Duke c’è un’edizione consumata e molto sottolineata. Ormai la decisione è presa: l’anno successivo torneranno al Festival con una loro suite dedicata a Shakespeare.

L’invito al Festival di Stratford di un musicista della generazione di Duke Ellington sembra rafforzare l’idea che quella musica non sia più moderna, come lo era stata negli anni Trenta e Quaranta, ma sia diventata in qualche modo un classico, soprattutto sia entrata di diritto nella cultura “alta”, esattamente come le opere di Shakespeare. Ellington accetta questa legittimazione, ovviamente ne è compiaciuto, ma vuol far capire che l’analogia non è solo superficiale, o una mera occasione. Nella nota che accompagna il programma dello spettacolo, lo stesso Ellington spiega che né la sua musica né Shakespeare devono essere appannaggio solo di un’élite culturale. Sono passati poco più di vent’anni: negli anni Trenta lo swing, di cui Ellington è senz’altro uno dei massimi esponenti, è la musica moderna, quella che, superando le pesantissime divisioni razziali, raggiungeva tutto il pubblico, diventando la musica americana, cosa che prima non esisteva. Ed erano i neri che avevano dato la musica a quel paese che pure li discriminava.

Nel programma di Such Sweet Thunder Ellington spiega che non serve nessuna conoscenza speciale, perché

che si tratti di Shakespeare o del jazz, l’unica cosa che conta è l’effetto emotivo sull’ascoltatore.

Il potere del jazz, come quello di Shakespeare, è quello di superare barriere e confini, è quello di diventare democratico, in senso etimologico. Ellington con questa suite, come con tutti i lavori successivi, di questa seconda parte della sua carriera, vuole creare una musica con il prestigio dei classici e l’immediatezza inclusiva della cultura popolare. E Such Sweet Thunder è ancora capace di coinvolgerci, di ammaliarci, di tenerci stretti nelle spire del serpente di Cleopatra che domina la scrittura di Half the Fun.

Ellington e Strayhorn costruiscono la loro suite come una serie di ritratti di personaggi shakespeariani, che termina con un ritratto dello stesso Shakespeare: è essenzialmente una suite di assoli, in cui i grandi musicisti che compongono la sua orchestra hanno modo di dimostrare tutto il loro talento. L’immagine di Shakespeare come creatore di grandi personaggi si accorda perfettamente con i metodi compositivi di Ellington e di Strayhorn, che usano il suono distintivo dei singoli membri dell’orchestra come punto di partenza per le loro composizioni.

La suite inizia e termina con due personaggi neri, Otello e Cleopatra, di cui Ellington e Strayhorn mettono in risalto la capacità seduttiva. Il primo brano – che si intitola come l’album – è il racconto del Moro delle proprie gesta, è la storia con cui ha sedotto Desdemona, una storia che sembra svolgersi in una giungla e non è casuale la citazione alla jungle music che ha caratterizzato la musica di Ellington ai tempi del Cotton Club.

Ed è una suite in cui le donne, i personaggi femminili di Shakespeare si prendono tutta la scena. Già nel titolo, come in Lady Mac – un coinvolgente valzer in cui la tragica morte della regina di Scozia è solo accennata alla fine, ma di cui Ellington e Strayhorn preferiscono raccontare il perturbante fascino ragtime – e in Sonnet for Sister Kateun blues in cui Caterina Minola emerge con tutta la sua indomabile forza. E anche Antonio sparisce di fronte alla forza di Cleopatra, lo stesso che succede a Romeo in The Star-Crossed Lovers. E Giulietta è il sax contralto di Johnny Hodges, che è con Ellington dai tempi del Cotton Club, ha tentato di fondare una propria orchestra all’inizio degli anni Cinquanta, ma ha deciso di tornare proprio quando sta per nascere questo disco, di cui è indubbiamente uno dei protagonisti. E curiosamente il dramma scozzese ritorna anche in The Telecasters, dedicato alle streghe.

Ellington e Strayhorn si dividono il lavoro. Il primo compone i quattro sonetti, seguendo in maniera esatta la struttura utilizzata da Shakespeare: quattordici linee di dieci battute ciascuna in pentametro giambico, disposte in tre quartine e con un distico di chiusura. Gli studiosi hanno notato che Ellington ha seguito anche il ritmo delle linee poetiche, mantenendo tutte le rime. E infatti i testi di uno qualsiasi dei sonetti di Shakespeare possono essere sovrapposti alle melodie di Ellington senza che sia necessaria alcuna modifica.

Mentre insieme hanno composto Such Sweet Thunder, sicuramente Billy ha scritto da solo il brano su Cleopatra, il delizioso Up and Down, Up and Down, I Will Lead Them, in cui Puck fa correre gli amanti per il bosco fatato e Madness in Great Ones, il brano dedicato ad Amleto. E in questo piccolo capolavoro che tiene insieme il jazz e Stravinskij, Billy credo voglia raccontarci anche qualcosa dei suoi drammi: discriminato nel suo paese perché nero, discriminato nella sua comunità perché omosessuale, senza un riconoscimento pubblico del lavoro che è tutta la sua vita.

Teseo e Ippolita entrano nella foresta intorno ad Atene. Prima di accorgersi dei quattro giovani che giacciono addormentati in una radura, parlano del latrare dei cani. Ippolita racconta di aver partecipato a una battuta di caccia all’orso nei boschi di Creta con Ercole e Cadmo. E ricorda la muta dei loro cani spartani.

I never heard / So musical a discord, such sweet thunder.

Ellington e Strayhorn si divertono a scegliere questo verso per dare il titolo alla loro suite. Quante volte i critici colti – e bianchi – hanno etichettato in maniera denigratoria la musica dei neri, quante volte hanno definito la musica jazz un’accozzaglia di suoni, senza alcuna armonia. Eppure quel tuono, che ha scosso nel profondo la cultura del Novecento, può anche essere dolce, un aggettivo spesso applicato allo stile di Shakespeare.

Ed è proprio grazie a quel tuono così dolce che Desdemona si innamora di Otello.

  • Un intero vocabolario delle storie di Luca Billi si trova qui.
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