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Allonsanfàn
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La voce di Lobo Antunes sopra i fiumi che vanno

António Lobo Antunes (Lisbona, 1942) possiede una voce che ci siamo abituati a riconoscere romanzo dopo romanzo – una voce singolare e plurale, che può estrarre le parole di un individuo dalla folla o viceversa mescolarle a essa, intanto che unisce l’oggi con lo ieri. Lobo Antunes lavora su un sodalizio di memoria e immaginazione, con la seconda che reinventa e rimodella la prima, in un rapporto essenziale, dialogico, come in una lunga partita di tennis, cui soggiace nella voce la tentazione e l’illusione della sincronia. Il tempo di Lobo Antunes è un eterno presente, specie quando, come in Sopra i fiumi che vanno (Feltrinelli), parla di una vita allo stremo, ricongiungendo in modo struggente la vecchiaia all’infanzia.

Abbiamo visto i personaggi de Le navi tornare in patria dall’Angola, molto tempo fa, dopo il macello di In culo al mondo, due titoli degli Ottanta di una carriera nata per vocazione precoce e destinata a soppiantare il primo impiego di Lobo Antunes, il lavoro da psichiatra compresa la parentesi da medico militare nelle colonie; e poi, nella celebrata trilogia di Benfica, al vertice artistico di una produzione vasta e senza soste, siamo stati nel cervello e nel centro fibrillante di Lisbona, ricordando come imperdibile La morte di Carlos Gardel; ed ecco che le lunghe frasi piene di virgole di Lobo Antunes – pochissimi i punti – tornano oggi, interrotte nel loro flusso da bruschi a capo senza segni di interpunzione, che aprono su piccole frasi di parlato, su “a parte”, su parole-stimolo, per esempio ordini e tic verbali di genitori e nonni durante una lontana e al tempo stesso vicina vacanza montana, che rilanciano altre cascate di parole, quasi fossero le strette rive da cui si libera un fiume, ci troviamo del resto alle fonti del Mondego.

Ho descritto con fatica un procedimento stilistico semplice – il difficile semmai è farne poesia – che è molto chiaro ad apertura di questo romanzo, arrivatoci tra le mani dieci anni dopo l’uscita in patria. Siamo nel 2010, il personaggio che vive, ricorda e immagina stavolta è uno solo e si chiama António – Antóninho da piccolo; la moltitudine delle coscienze esondate dei romanzi precedenti si è ridotta, incarnata in una figura vera e, nel gioco della letteratura, fittizia per quanto palesemente autobiografica.

La voce di Lobo Antunes è più che sempre la voce di Lobo Antunes il quale, vecchio e degente in ospedale, malato di cancro, questa sorta di minaccioso riccio, racconta in una quindicina di capitoli-giorni o giorni-capitoli, sotto morfina – o sotto l’influsso dei topini di cioccolato che il nonno gli regalava da bambino – quella che è ora ed è stata tanti anni fa e forse sarà la sua vita.

Sopra i fiumi che vanno (in originale Sôbolos rios que vão, tradotto dalla fedele Vittoria Martinetto) trae il suo bellissimo e visivo titolo – Lobo Antunes è molto musicale, polifonico, come si è spesso notato, ma anche concretamente imaginifico – da un verso di Luis de Camões, da Redondilhas de Babel. I fiumi che sono metafora sia del tempo sia della scrittura ci invitano a seguire il flusso di coscienza del “nuovo” romanzo: certo, la lettura può risultare ardua, all’inizio, ma poi si apre offrendo una imprevedibile ricchezza di comprensione mano mano che si procede e ci si sintonizza sulla voce di Lobo Antunes – quella stessa voce su cui per tutti questi anni, ogni mattina all’alba, lo scrittore ha atteso di modularsi, per fare il suo lavoro e anche per comunicare con noi, come spiegò in un’intervista prima di ricevere il premio Nonino.

Al fondo del romanzo, alla fine dell’abracadabra dello smagato Lobo Antunes, come mai prima ci aspetta una domanda ineludibile e terribile: che cosa resterà di tutto questo? Che cosa succederà quando la morte, con o senza l’aiuto del riccio, inghiottirà dolori e amori, verità e bugie, vissuti veri oppure reinventati da un grande scrittore come pure dall’ultimo degli uomini privi di fantasia? António, Antóninho Lobo Antunes, finché può continua a scrivere nella sua incredibile maniera, prosegue a vaneggiare per sé e per gli altri, facendo letteratura. La sua voce continua a illuminare, almeno per un po’ ci accompagna, intanto che in ospedale, come scrive con un ammicco il portoghese, il dito indice imprigionato da una piccola pinza ne disegna le “intermittenze del cuore”.

IL LIBRO António Lobo Antunes, Sopra i fiumi che vanno (Feltrinelli)

Credit: FLIP – 2009 by Monica Campi is licensed under CC BY-ND 2.0

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