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Ecologista a chi? Il libro di Della Seta per rendere ottimista il pensiero green

Sarà merito dell’instancabile ecologista svedese Greta Thunberg, la diciottenne che fustiga i bla-bla-bla inconcludenti dei politici sul fronte dell’inquinamento planetario? Sarà colpa del riscaldamento globale provocato dai nostri gas serra e del fatto che non ci sono più le mezze stagioni e manco quelle intere? Sarà un effetto dell’emergenza sanitaria, che ci ha fatto diventare tutti maggiormente ansiosi?

Fatto sta che ormai quasi chiunque si definisce ambientalista; siamo tutti miss e mister Ecologia. Capita un po’ come succede – secondo una storiella più o meno fondata – alle aspiranti reginette di bellezza: di fronte alla domanda “Che cosa vorresti?” fino a ieri rispondevano spessissimo “La pace nel mondo”; oggi probabilmente replicano “Un mondo più green”. Insomma, battute a parte, le idee ecologiste sembrano avere sedotto l’opinione pubblica; soprattutto quella più giovane, come dimostrano tante manifestazioni, in Italia e nel mondo, capitanate da Greta e dai suoi fan.

Però tra il dire e il fare non ci sono di mezzo soltanto il cambiamento climatico e l’ipocondria determinata dalla pandemia. Esiste anche un altro inghippo. Nel libro Ecologista a chi? Chiara fama e lati oscuri del pensiero green alla prova del Covid (Salerno Editrice) Roberto Della Seta, classe 1959, ex presidente di Legambiente, oggi direttore del Festival nazionale dell’economia circolare, si chiede: “La pandemia dà ragione agli ecologisti, all’idea che l’Homo sapiens abbia devastato la natura e ora ne paghi il prezzo? O al contrario dimostra che gli ecologisti hanno torto, che solo un uomo sempre più ‘tecnologico’ e ‘artificiale’ può sconfiggere la natura ‘ostile’?”.

Non solo. Il saggista pone un’altra domanda di fondo: quelle due opinioni, inevitabilmente contrapposte, non avranno mica un difetto enorme in comune? Risponde: “Sì. Perché semplificano e così confondono una realtà che è… complessa”. Tuttavia, afferma, se non si comprende la complessità dei fattori in gioco, da soli gli slogan di ecologisti e non-ecologisti sono, appunto, soltanto slogan. Infatti, scrive, “l’idea della complessità”, che “ha messo radici nella scienza e nella filosofia, …non ha prevalso sulla voglia di semplificare, che anzi è uno dei tratti salienti del mondo contemporaneo”. In questo senso, si può aggiungere, gioca un ruolo fondamentale l’uso di massa del Web e dei social network, con la loro smisurata capacità di lanciare valanghe di fake news, pregiudizi e banalità nel ventilatore della società digitale.

Oggi in particolare gli ambientalisti, secondo l’autore, rischiano di diventare parte del problema. Capita quando mostrano “una certa diffidenza verso la tecnologia”. Basti osservare, suggerisce, gli ostacoli che si incontrano per quel che riguarda la diffusione delle energie rinnovabili: “Fatichiamo per via della lentezza degli iter e dei grovigli della burocrazia ma anche perché, di fronte a un impianto fotovoltaico o a un parco eolico, c’è chi si mette di mezzo”. Cosicché Della Seta, ambientalista da 30 anni in prima linea, propone un’autocritica: “Bisogna liberarsi dai pregiudizi e in alcuni casi anche dai limiti: credo che gli ecologisti oggi debbano cambiare pelle; non devono più imporre il tema ma devono contribuire a risolverlo”.

In particolare, l’autore punta il dito contro quello che potremmo definire (noi, non lui) il “tafazzismo” degli ambientalisti troppo ideologici, duri e puri portabandiera del moralismo sacrificale e della decrescita sedicente “felice”: si tratta di quel genere di masochismo che porta, come il Tafazzi, a gratificarsi colpendo (più o meno metaforicamente) il proprio inguine con una bottiglia di plastica. Invece gli ecologisti dovrebbero “capire e accettare che la transizione ecologica, per affermarsi, deve essere e apparire… socialmente desiderabile”.

Precisa Della Seta: “Insieme all’etica, insieme alla paura, serve il principio di piacere: occorre declinare la transizione ecologica e il suo approdo come piacevoli…, scrollandosi di dosso quella patina di pessimismo millenaristico, di cultura della rinuncia dolorosa ma moralmente obbligata, che intorbida da sempre il messaggio ecologista”. Semmai, a suo avviso, l’economia verde è un’ottimo affare, come avrebbero già capito tante aziende; forse, se si rinunciasse a un po’ di pessimismo, si potrebbe convincere il “capitalismo buono” ad allearsi con gli ambientalisti per avviare “il motore decisivo della transizione” green.

Un tradimento dell’ecologismo? Macché. Secondo Della Seta, questo movimento deve cambiare pelle senza perdere “la sua radicalità di visione e di speranza” e, contemporaneamente, senza dare l’impressione di rinunciare alla modernità. Altrimenti – pare questo il messaggio del saggista – frotte di Tafazzi-green, continuando a darsi “allegre” bottigliate sulle palle, persevereranno nel far apparire non piacevole la svolta anti-riscaldamento globale; e correranno il rischio di rimanere un’avanguardia senza retroguardia. Se non altro perché la maggior parte della gente, seppure oggi sia pronta a dirsi “ambientalista”, non sembra altrettanto propensa a infliggersi un futuro di rinunce e penitenze.

IL LIBRO Roberto Della Seta, Ecologista a chi? Chiara fama e lati oscuri del pensiero green alla prova del Covid (Salerno Editrice, Roma 2021 – 230 p., 18 euro)

 

Credit: Climate Emergency Demonstration 16 by Friends of the Earth Scotland is licensed under CC BY 2.0

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