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Il male non esiste. Dall’Iran, 4 storie di Rasoulof, grande regista e uomo coraggioso

Sono film così che meritano di restare a lungo in sala e di essere pubblicizzati dal passaparola di cinefili e spettatori occasionali. Non si consumano, anzi.

Il male non esiste ha vinto l’Orso d’Oro alla Berlinale 70 ed è stato applaudito nei festival del mondo (Seattle, San Paolo, Hong Kong, Philadelphia, Cleveland, Calgary, Oslo, Valladolid, Montclair, Batumi), prima di approdare da noi, dal 10 marzo, distribuito da Satine Film. Bene, davvero.

Il male non esiste è il nuovo lavoro del regista iraniano Mohammad Rasoulof, quarantenne, già vincitore a Cannes con Goodbye e A Man of Integrity sezione Un Certain Regard. Rasoulof è uno squisito uomo di cinema, un intellettuale che però sa parlare a tutti, e per le sue opere, coraggiose e rigorose, in patria ha sempre rischiato l’osso del collo. Per esempio, nel marzo 2010, è stato incarcerato per “atti e propaganda ostili alla Repubblica islamica dell’Iran”. Né ha potuto alzare al cielo il premio a Berlino: era a Teheran in una difficile situazione, in attesa di una sentenza d’appello che gli comminasse un anno di prigione.

Ma vediamo sul grande schermo quali sono gli “atti di propaganda ostili”. Il male non esiste racconta magistralmente e con stili diversi quattro storie della società iraniana di oggi, costretta da un regime autoritario ad accettare la pena di morte come pratica di routine. Quattro episodi sulla forza e sulla fragilità degli uomini, che scorrono unificati da una rete di fili narrativi, appena celati, che sarebbe però un peccato anticipare. Il male non esiste è un percorso da fare oltre che uno spettacolo da vedere.

Il film si “apre” sulla vita quotidiana di un impiegato, il quarantenne Heshmat (Ehsan Mirhosseini): ottimo marito e padre, educato con i condòmini – è il tipo che fa la tinta alla moglie, dopo aver soccorso il gatto dei vicini che si è incastrato chissà dove – viene ripreso in tempo reale, quasi pedinato da una neutra telecamera, in autombile e a casa, al supermarket e in banca, e poi di ritorno al suo lavoro notturno, fino all’ultima sequenza, che è uno choc.

Domanda. Siamo posti di fronte a dilemmi e nodi che riguardano l’Iran oppure noi, tutti, ovunque, che camminiamo accanto al male senza accorgercene e pisoliamo davanti alla televisione magari dopo averlo commesso? Facile risposta. Siamo tutti, ovunque, coinvolti.

Il male è un quesito pratico, che può portare a negarlo o a rassegnarcisi. Rasoulof, a viso aperto, con grande semplicità, chiede ai suoi personaggi (e agli spettatori con loro: impossibile restare neutrali, e non seguire, come dicevo sopra, un percorso) uno scarto di consapevolezza.

Se il primo episodio è fondato sul realismo spicciolo, il secondo è un atto unico, quasi teatrale, che si svolge durante una notte in caserma. L’inetto e sognatore Pouya (Kaveh Ahangar) ha da poco incominciato il servizio militare e si ritrova di fronte a un orribile aut aut. Obbedirà a un ordine dei suoi superiori, come fanno gli altri camerati, anche se è contrario alla sua volontà? Oppure rifiuterà rischiando la sua, di vita?

Nelle due storie seguenti conosciamo un altro militare, Javad (Mohammad Valizadegan), che conquista a caro prezzo la licenza per tornare al paese e chiedere in sposa la fidanzata, e il misterioso Bharam (Mohammad Seddighimehr). Medico radiato, esiliatosi in un deserto non soltanto metaforico, decide di rivelare alla nipote che vive a Londra il segreto che lo consuma da vent’anni… Non so che cinema ci vedrete dentro voi in questi due episodi. Io ci ho trovato qualcosa di Kurosawa e qualcosa di Kiarostami.

In mezzo al film, nell’episodio numero due, in uno dei rari momenti in cui il senso generale di claustrofobia si risolve in un gesto liberatorio, risuonano le note di Bella Ciao, cantata da Milva. Bella Ciao significa qualcosa anche in Iran e in ogni luogo in cui il film di Mohammad Rasoulof è proiettato. “Ho scelto proprio questa canzone perché è molto conosciuta, e tutti sanno che la sua origine e la sua profonda essenza è la ribellione contro un regime autoritario”. Bene, davvero.

Mohammad Rasoulof

Le risposte di Rasoulof

Mohammad Rasoulof ha presentato in collegamento Zoom Il male non esiste. Con lui, significativa la presenza e il patrocinio dell’opera di Amnesty International Italia, nella figura del portavoce Riccardo Noury, convinto che “i film liberano la testa”, come diceva R.W. Fassbinder.

Il film parla indirettamente anche della guerra.

“Il film affronta il problema della responsabilità individuale”, dice Rasoulof, “parla di una scelta morale per la quale si può anche rischiare la propria vita. I soldati russi che combattono possono farsi una domanda, chiedersi perché sono costretti a obbedire e partecipare a questa guerra sparando ad altri uomini… L’Iran è oggi una sorta di colonia russa e il governo del mio Paese appoggia il governo russo, ma la gente la pensa diversamente ed è triste per quello che accade in Ucraina. Tutti provano grande empatia per il popolo ucraino”.

Impossibile non affrontare il tema della censura.

“Devo essere sincero, il film ha questa struttura a episodi per le limitazioni che ho subìto. Non potevo girare un film lungo, era più facile avere i permessi per girare dei film corti e poi unirli insieme. Era la mia unica strada ma ho trasformato queste limitazioni in un racconto, poiché avevo in testa un quesito che mi interessava sviscerare e sapevo quali storie usare per farlo”.

Metropoli e campagna sembrano entità separate nell’Iran del film.

“Ho raccontato l’uomo nella sua totalità… Nel secondo episodio, per esempio, siamo lontani dalla città, ma non importa di quale classe o di quale condizione sociale siamo quando ci troviamo in una situazione che richiede una scelta. Di solito, in una dittatura, accade che ogni decisione è condizionata dagli ordini impartiti e questa è una situazione che riguarda tutti”.

Il potere in Iran distorce la realtà.

“Bisogna avere il coraggio di guardare la realtà, ed è una cosa ancora più necessaria in un regime totalitario. Le gente in certe realtà totalitarie si separa dalla realtà, vive in una bolla e si abitua a sentire tante bugie anche politiche che si scambiano alla fine per vere. Io stesso, come tutti, ne sono stato condizionato in passato e mi sono trovato a chiedermi perché una donna deve portare il foulard anche se non c’è nessuno che la guarda. Ti abitui a vivere in una falsa realtà… Invece, tocca all’artista guardare nell’oscurità e sparare la luce nel buio”.

Il ruolo giocato dalla tecnologia è essenziale.

“La tecnologia offre oggi chance che l’Iran cerca di limitare… Mi sento molto fortunato come cineasta, perché oggi riesco a creare i miei film grazie al progresso tecnologico, mentre vent’anni fa era molto, ma molto più difficile. Sono felice di questi tempi in cui si può girare film anche solo con un cellulare. Quello che mi interessa nei miei film è ottenere una buona produzione nonostante le difficoltà. La lavorazione sotterranea de Il male non esiste è stata difficile, perché per esempio ho fatto fatica a trovare le location giuste, non mi potevo muovere. Ma io cerco sempre di parlare di temi per tutti e metto me stesso da parte”.

La scelta di Bella Ciao.

”È una canzone che mi ha dato forza e coraggio in tempi difficili. Ho scelto Bella Ciao e la canzone dell’ultimo episodio, Baciami, per il loro potere di sintesi, anche se hanno funzioni diverse, e però si richiamano. È inutile dire che abbiamo scelto in fretta anche la colonna sonora e che queste canzoni mi hanno aiutato”.

Credit: Mohammad Rasoulof-pic00001.1.jpg by Ipadakam is marked with CC BY-SA 4.0

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