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Allonsanfàn
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Parigi, 13 Arr. Questa volta Jacques Audiard ha fatto un film d’amore

All’inizio ci sono i racconti disegnati dallo statunitense Adrian Tomine, classe 1974, graphic novels minimaliste – c’è chi lo infila tra gli eredi di Carver – fatte di relazioni che si aprono e si consumano tra le mura del privato. Al termine, c’è un film, firmato da Jacques Audiard (Parigi, 1952) che, con la complicità di altre due registe, Céline Sciamma e Léa Mysuys, qui sceneggiatrici, ha portato al cinema Killing and Dying, edito da noi come Morire in piedi (Rizzoli Lizard).

Audiard, verificando in qualche modo la tenuta “universale” dei disegni di Tomine, ha ambientato il tutto nel 13 Arr. della capitale francese, ovvero a Les Olympiades (titolo francese del film), quartiere di una dozzina di torri residenziali con in mezzo il centro commerciale Pagode, costruito tra il 1969 e il 1974 (fonte Wiki).

Noi vediamo svolgersi, nel bianco e nero smagliante di una Parigi alveare, geometrica e impersonale, sconosciuta ai turisti, l’incontro scontro tra quattro giovani, che si scambiano sesso e barlumi di amicizia, rimbalzandosi l’un l’altro tanto l’incapacità di comunicare quanto la possibilità dell’amore.

Lucie Zhang e Makita Samba

I credibili attori sono Lucie Zhang (Happy Night), Makita Samba (The Bunker Game), Noémie Merlant (Ritratto della giovane in fiamme) e Jehnny Beth (frontwoman delle Savage) che rispondono alla doppia scelta geografica del regista: “Ensuite, j’avais envie d’un ‘mélange de gens’: des noirs, des asiatiques, des caucasiens… Je voulais un lieu donné, circonscrit, et le 13e c’est vraiment cela: un lieu. C’est aussi un quartier de grande interpénétration sociale et culturelle” (potete leggere l’intera intervista qui).

Ora sapete ciò che c’è da sapere. Resta da chiedersi perché Jacques Audiard, lui stesso antico abitante del 13 Arr., abbia deciso di parlare d’amore. Perché questo, dopo le riflessioni spietate sul potere e sull’alienazione (Il profeta e Dheepan) e l’excursus nel West precapitalista de I fratelli Sisters è davvero un film d’amore, cui troviamo una parentela nel cv di Audiard forse con Un sapore di ruggine e ossa. Ma in fondo come stupirsi della varietà di realizzazione del figlio di Michel Audiard, che fu scenarista di poliedrica e popolare ispirazione? Può darsi tuttavia che un desiderio molto cinefilo abbia portato Jacques a riconnettersi, come ha raccontato, con una versione “aggiornata e corretta” a La mia notte con Maud di Éric Rohmer, rispondendo al quesito: quando e come si parla di amore oggi? Sottinteso: ora che non si passa più la notte discutendo di Pascal, ma c’è la rete, ci sono Tinder, le app, la possibilità di vivere in chat perpetua, anche in versione porno.

Jacques Audiard

La risposta di Audiard sta nella capacità di costeggiare vertigini di indifferenza e di disperazione e nell’indagare vite dove i personaggi fanno il karaoke di loro stessi in contesti alienanti o semplicemente deludenti e cercano di avvicinarsi a qualcosa che dia loro, se non soddisfazione, almeno identità: si può lasciare l’insegnamento precario per improvvisarsi scassati agenti immobiliari, subire la tentazione di inventarsi un alias pornografico, dimenticare banalmente famiglia e radici – e qui c’è di mezzo anche l’interetnicità – mentre ci si addentra con spavalderia in un futuro senz’anima e specifiche… Comunque vada, non smarrendo mai il filo del discorso, Audiard propone allo spettatore il suo sguardo empatico per quattro anime nude e forse – stavolta il regista francese appare meno pessimista del consueto – offre loro uno straccio di lieto fine. Il più bel film d’amore dell’anno (scorso, più i primi tre mesi di questo).

Nella foto di apertura, Makita Samba e Noémie Merlant (credit: ©ShannaBesson)

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