UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Full time. Correre fino a sfinirsi nella Parigi in sciopero

Si può spendere per Full Time-Al cento per cento, titolo originale À plein temps, un termine in voga come “resilienza”, ossia la capacità di un materiale di assorbire un urto (o più urti) senza rompersi.

Nel film, il materiale è prettamente umano: Julie – madre separata con due bambini e un ex marito datosi alla macchia – che fa la spola tra la campagna, dove ha scelto di abitare per i suoi piccoli, e il centro di Parigi.

La donna, impersonata dalla brava e volitiva Laure Calamy (la ricorderete nella serie Chiami il mio agente!), lavora come cameriera in un hotel di lusso nel quale, secondo la regola non scritta, chi serve dev’essere invisibile al danaroso cliente ma pronto a prevederne ogni necessità o capriccio. À plein temps e invisibile, non è il massimo, ma si tirerebbe comunque avanti.

Laure Calamy

Peccato che il fragile equilibrio su cui si regge questa vita da pendolare sia messo in serio pericolo durante i lunghi giorni di uno sciopero nazionale, quando Julie – insieme agli spettatori più empatici che si trovano da subito trafelati – si lancia in una corsa a ostacoli contro il tempo, tirando pure fuori il pollice per l’autostop.

C’è l’eventualità di rompersi, appunto, o di consumarsi, e sarebbe una beffa perché la donna vede in fondo al tunnel un ambito colloquio di lavoro – che tra l’altro la riqualificherebbe – messo in dubbio sia dai bus fermi sia dall’aguzzina che ha per boss all’albergo. Costei è una falsa amica, un quadro intermedio di quelli che nelle catene di comando, come insegna bene l’ultimo Ken Loach, sono più ligi al dovere degli stessi crudeli padroni delle ferriere.

Abbiamo nominato Ken Loach, perché il film di Éric Gravel, già direttore della fotografia, già regista noto per Crash Test Aglaé, nella sua (ostentata) sobrietà realista è un Loach francese per classe media (impoverita) e non ouvrière. Ecco: ma poiché al profondo questo è un film sulla “gente comune” o meglio sulle “donne comuni” a uso di “spettatori comuni”, manca di un’ulteriore elaborazione e difetta in materia di analisi sociale. Da un certo punto in poi, il regista sembra concentrarsi più sul ritmo del suo (comedy) drama che sul personaggio di Julie la Resiliente e sulla società che la costringe a correre come un criceto su due ruote, famiglia e lavoro, contemporaneamente.

Al proposito, ricordiamo un film dal tema del simile, l’italiano Sole cuore amore (2016), con protagonista una barista sfinita interpretata da Isabella Aragonese: scritto e diretto da Daniele Vicari, aveva altra introspezione e rigore. Ma forse è una fisima da anni Settanta prendersela con Gravel perché il suo film ci appassiona e ci diverte anche… Ah, il retaggio della grande commedia brillante francese!

Premiato alla 78^ edizione della Mostra del Cinema di Venezia nella sezione Orizzonti per la Miglior interpretazione femminile di Laure Calamy e per la Miglior regia a Éric Gravel. Nelle sale italiane da giovedì 31 marzo

I social: