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Valentina Olivastri, un romanzo come un album di famiglia

Luoghi, profumi, sapori, colori e cultura toscana emergono impetuosi ne L’album di famiglia (Youcanprint), in cui Valentina Olivastri ci trasporta nel mondo di Borgo sui poggi toscani con un linguaggio colto e molto ironico. Diceva Andrea Camilleri: “Alla base di ogni scrittura c’è un paziente, scrupoloso, estenuante lavoro di rifinitura, correzione, di messa a fuoco, di puntualizzazione, di calibratura che costituisce la qualità e la forza del buon artigiano”. Frase che si sposa al lavoro della Olivastri.

Può sembrare particolare la scelta di autoprodursi dell’autrice, dopo aver pubblicato libri di successo, come Proibita imago (Mondadori) e La donna del labirinto (Miraviglia), oltre ad aver curato diverse traduzioni e apparati critici delle edizioni Oscar Mondadori e collaborato con The Guardian. Originaria di Cortona, Valentina Olivastri oggi lavora alla Bodleian Library dell’Università di Oxford.

L'album di famiglia

Ne L’album di famiglia, la cui copertina è l’opera Il vaso rosso di Paolo Gheri, domina il tema gastronomico. La protagonista Edi è una giornalista appassionata di cucina e cuoca fin da quando aveva due anni. Così quasi non le sembra vero quando John, il suo caporedattore, venuto a conoscenza del suo imminente trasferimento in Toscana, le offre una rubrica per il supplemento del weekend. “Un pezzo sulle mille, millecinquecento parole, anche qualcosa in più se vuoi. Taglio personale, cappello introduttivo, seguito da una ricetta, mi raccomando tutta roba di stagione. Un cenno storico, che ne so al limite anche linguistico, antropologico, folcloristico, ma senza esagerare”. Così dice a Edi che affronta un cambiamento di vita cercato e voluto, per lasciarsi alle spalle una separazione dal marito, consapevole che il loro matrimonio sapeva di pasta scotta già da un bel pezzo. Borgo era un perfetto posto dove rifugiarsi, forse per qualche settimana o anche una decina d’anni. Tutto da vedere e da decidere sul momento. L’importante era cambiare aria, ritrovare vecchi amici e soprattutto ritrovare se stessa.

Questo quadretto idilliaco cambia dopo l’improvvisa morte di Ludovico Franceschi, belloccio della situazione, rubacuori di professione. Un chiacchierato viveur che sconvolge la quotidianità del paese e i destini familiari di Cinzia e Giuliana, cugine legate in modo diverso ma inscindibile, spesso inconsapevole, alle imprese amorose di Ludovico.

Con la casuale scoperta di un album di foto di famiglia da parte di Edi, vengono a galla segreti, cose non dette e nascoste, silenzi che in realtà fanno frastuono e che creano nel tempo mille nodi difficili da sbrogliare. Come può essere che dietro a quell’innocente paesino si celasse tutto ciò?

La fotografia, quindi, come testimonianza, uno strumento di consapevolezza e mezzo per arrivare alla verità, senza sovrastrutture e maschere.

L’album di famiglia è dedicato a Francesca che, ammette l’autrice, “è la mia lettrice reale e ideale, colei che finisce discretamente nelle mie trame. A Francesca ho dedicato anche il mio primo libro, Prohibita Imago. Francesca è colei che mi fece un complimento da sogno dicendomi che ero il suo investimento. Per lei imbastisco intrecci, costruisco castelli non in aria e ripesco Capitane da me abbandonate, ma non da Franci dimenticate”.

Valentina Olivastri L'album di famiglia
Valentina Olivastri

Valentina, perché hai scelto di autoprodurre L’album di famiglia?

Mi piacerebbe poter dire che è stato per avere una maggiore libertà ma non è così, o almeno non è stato così inizialmente. Con un’unica eccezione, nessuna delle case editrici da me contattate ha risposto al mio appello, mentre i miei due carissimi amici Francesca e Roberto hanno creduto ne L’album di famiglia fin dalla sua prima stesura; così hanno deciso di intraprendere questo progetto di pubblicazione. La libertà è stata nella scelta della piattaforma, nel poter curare noi stessi la veste grafica – il pittore Paolo Gheri ci ha regalato la bellissima copertina – e tutto il resto. Le piattaforme digitali offrono una grande libertà rispetto a un’editoria che oggi segue essenzialmente logiche di mercato. Detto questo, sia in Italia sia in Gran Bretagna esistono ancora editori coraggiosi che guardano innanzitutto al valore delle opere piuttosto che alle proiezioni di mercato.

Cosa sognavi da bambina e da adolescente? Hai sempre avuto la passione per la scrittura, la lettura, la letteratura, il buon cibo, la natura, l’arte e la storia?

Da bambina ero un’autentica “spepera”, vale a dire una bimba estremamente chiacchierina, che discetta su tutto con una predilezione per l’inopportuno, senza esitazioni e inibizioni. Le “spepere” di Toscana sono una veneranda forma di intrattenimento: insopprimibile, ingegnosa, spiazzante. Da adolescente leggevo Sartre, il mio libro manifesto era La nausea. Sapevo a memoria tutte le canzoni del Festivalbar, cercavo il grande amore e il moto perpetuo. La fantasia tallonava l’orizzonte con avidità: il sogno era viaggiare. Non so dire con precisione chi o cosa in particolare mi abbia trasmesso l’amore per la Bellezza. Penso, tuttavia, che la campagna fuori le mura etrusche di Cortona abbia avuto un ruolo da premio Oscar.

Quanto c’è di autobiografico in questo romanzo?

La scrittura è un alambicco: distilla, trasforma, deposita. È un giocare a nascondino ed è un voler uscire allo scoperto. Alcuni dei miei personaggi condividono con me un tratto del carattere, un’idiosincrasia, un ricordo, un gusto, un certo modo di guardare il mondo. Borgo è memoria e desiderio: uno spazio del passato che ricreo, trasformo e trasfiguro ogni qual volta la penna scorre sulla pagina.

Leggendo L’album di famiglia si è trasportati tra colori, profumi e sapori toscani anche se poi terminando ci si rende conto che a volte l’apparenza inganna… Che cosa ti manca della tua Cortona? Cosa invece ti ha insegnato Oxford, città in cui vivi da anni?

Sovente si desidera quello che non si può avere. Mi mancano gli amici, un certo modo di relazionare, e, ironicamente, mi manca l’atmosfera di Cortona degli anni ’70/’80, quando tutto quello che desideravo era andarmene. Vorrei una Cortona in aspic, ma l’aspic, come si sa, è démodé, un gusto per bocche svagate. Oxford è un luogo complesso, affascinante, complicato. È la capitale della sprezzatura, quell’arte che permetteva al perfetto cortigiano rinascimentale di dire e fare tutto senza mostrare la minima fatica. Baldassare Castiglione si troverebbe a suo agio alla tavola dei professori oxoniensi.

“Nulla come la fotografia mostra la realtà per quello che è”. Così si legge all’inizio della sinossi del tuo libro. La fotografia può a volte essere più sincera della conoscenza di una persona?

Sì, senza dubbio perché sa cogliere e fissare l’attimo; penso soltanto alle foto scattate surrettiziamente da Vivian Maier: ogni immagine è una storia raccontata con dovizia di particolari nella sua essenzialità. Mi ha sempre inoltre colpito il concetto della fotografia come entelechia: una singola immagine che racchiude tutto di noi stessi, anche la fine che dovrà ancora venire.

Secondo Valentina Olivastri la Bellezza salverà il mondo? Sarà capace di andare oltre le difficoltà, oltre le contraddizioni, oltre le guerre?

Sarebbe più che auspicabile, ma la Storia ci insegna, purtroppo, altrimenti.

Il libro. Valentina Olivastri L’album di famiglia (Youcanprint)

Immagine in apertura: un dettaglio de Il vaso rosso di Paolo Gheri

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