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Allonsanfàn
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La memoria mistica di Apichatpong W.

Ho vissuto per anni al cinema e pensavo con supponenza di essere vaccinato con due booster contro la noia da film d’autore. Non avevo previsto quindi che il “boato sonico” il quale, una volta udito, turba i sonni di Jessica/Tilda Swinton in Memoria di Apichatpong Weerasethakul, mi conducesse, procedendo il film assai lentamente e con passo inesorabile, in un inedito stato di riflessivo e incantato tedio.

Tutto nel film è insieme chiaro e confuso, preciso e sviante, come è evidente pure dal monco bugiardino della voce su Wikipedia: “…a Bogotà per fare visita alla sorella malata, Jessica è affascinata da resti umani scoperti nella costruzione di un tunnel…”. A una tranche metropolitana, segue l’esperienza di un viaggio “e Jessica si imbatte in un pescatore, Hernán, con cui scambia ricordi lungo il fiume. La giornata volge al termine, e in lei si risveglia un senso di chiarezza”, anche perché (forse) accade qualcosa.

Lacunosa e forzata sinossi, che non sa come cogliere il girovagare di una donna spaesata e come descrivere i quadri fissi, inchiodati, che ospitano la sua irrequietezza: ospedali, aule, studi di registrazione, sale della morgue e di museo, ristoranti in cui (forse) il misterioso suono conduce Jessica, tra piazze e strade dove tutti gli antifurti suonano insieme di notte, un passante inciampa tra la folla e scappa via, si aggirano cani (in qualità di psicagoghi?) a cui non è stata salvata la vita. Per tacere del fatto che si avvertono all’improvviso inattesi spifferi di irrealtà, quasi provenissero da un mondo appena un po’ parallelo: c’è un uomo che nessuno ricorda (anch’egli, per combinazione, si chiama Hernán) e che invece Jessica ha conosciuto bene, si nomina un dentista che doveva esser morto e invece… Così come pare morto il pescatore Hernán, Hernán numero due, che è una sorta di hard disk umano di ricordi, quando, in un interminabile e incredibilmente disturbante primo piano, si addormenta per mostrarsi a Jessica.

Che poi tutto sta nella sintassi del regista thailandese qui in trasferta colombiana: camera fissa oltre il lecito, che offre quasi asilo allo spettatore – il prezzo è compreso nello stato di noia riflessiva e incantata cui accennavo sopra, in cui attendiamo pazienti e a tratti sbadiglianti un indizio, se non una spiegazione (ci sarà oppure no?) o più semplicemente un piccolo colpo di fulmine che ci faccia entrare di più e davvero dentro la storia. Ci vuole pazienza con Apichatpong Weerasethakul. I dialoghi sembrano aiutare poco, sono a tratti bofonchiati, e severamente sottratti al concetto di didascalia o di rivelazione (eppure…).

Nel mondo dei forse e degli eppure, e di un programmato ed eludente stupore, Apichatpong Weerasethakul si mostra mago. Memoria (premio della giuria a Cannes 2021), uscito in sala a giugno e approdato adesso su MUBI, lascia infine con una immagine forte, come l’idea stessa di cinema del thailandese, a cui ogni spettatore può decidere, quando si risveglia dal torpore, quanta fede prestare. Apichatpong Weerasethakul ci ha condotto a poco a poco molto lontani dalle certezze dell’Occidente – da cattolicesimo e Xanax per dirlo con una dottoressa abbastanza povera di spirito – e ci ha fatto imboccare in modo sghembo la sua strada esoterica, forse magica, quasi mistica. Dove misticismo sta per “un’esperienza che impegna la vita interiore dell’uomo di fronte a una realtà misteriosa, assoluta, altra da sé, alla quale il soggetto tende al di fuori dei normali processi conoscitivi…”, attraverso “forme di conoscenza intuitive, …capaci di cogliere realtà più alte e assolute rispetto a quelle che sono oggetto della conoscenza logico-discorsiva” (dal bigino della Treccani). Sarà un caso che Hernán numero uno, quello poi scomparso oppure mai esistito, abbia cercato invano di riprodurre il suono che ha disturbato Julia manovrando le fredde levette di un mixer?

Peccato che Tilda Swinton venga molto spesso ripresa in nervosa lontananza e che al più, dopo aver portato a lungo a spasso il suo corpo magro e averci recitato benissimo, guadagni solo nel finale un piano americano, proprio quando entra in contatto (forse) con il cosmo.

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