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Allonsanfàn
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Il mistero di Artemide, storia di dei, donne e orsi

Artemide è probabilmente la dea più misteriosa dell’olimpo greco; una dea potente, affascinante e decisamente pericolosa. Non è soltanto la dea cacciatrice, come viene descritta dalla tradizione alessandrina, che tende a banalizzare la mitologia degli antichi, e come viene ormai raffigurata dai moderni, specialmente dopo che i Romani l’hanno identificata con la loro Diana, dea delle selve e della caccia, una figura molto meno complessa di quella greca.

Artemide è una dea molto antica, con ogni probabilità la trasfigurazione nel pantheon greco di una fondamentale divinità arcaica della cultura indoeuropea, conosciuta come la Grande madre. Artemide era una delle dee vergini dell’Olimpo – come l’antica Estia e la più giovane Atena – ed era la divinità di tutto ciò che stava al di fuori della città e del villaggio e soprattutto la dea delle iniziazioni femminili.

Artemide, seppur in modo misterioso e allusivo, ricordava ai greci antichi – e quindi anche a noi – che c’era stata un’età antichissima, di molto precedente quella degli eroi, in cui le donne, forti del fatto di avere il dono di generare, erano tenute in maggior considerazione degli uomini, sia nella famiglia che nel villaggio, un’età in cui la discendenza era matrilineare, in cui il tempo era legato ai cicli della luna – che infatti regolano anche i periodi di fertilità delle donne – e in cui la divinità più venerata e temuta era appunto la Grande madre. Poi, lentamente e inesorabilmente, i maschi, la cui funzione era quella di procurarsi il cibo, sono riusciti a prevalere, confinando il ruolo delle donne all’interno della casa e imponendo la discendenza patrilineare. Hanno fatto in modo che il tempo venisse scandito non più attraverso le fasi lunari, ma con il sole, e soprattutto hanno determinato un pantheon maschile e patriarcale, specchio celeste della nuova società.

Il bagno della dea nell’affresco del Parmigianino

Artemide, dea vergine e protettrice dei parti – perché generata senza dolore dalla propria madre Leto – legata al culto lunare, dea della parte più intima della casa, quella appunto riservata alle donne, e al contempo del territorio che circonda la polis – diventata invece campo d’azione esclusiva dell’uomo – ricorda, seppur in maniera ambigua e indiretta, quel mondo che i maschi tendono comprensibilmente a nascondere, a dimenticare. Il mistero di Artemide è il mistero dell’essere madre.

Proprio perché il culto di questa dea era così antico, quando ancora gli dei erano raffigurati come animali, Artemide era considerata un’orsa. La parola che indica l’orso in greco è arktos e la terra misteriosa del nord, regno degli orsi, è ancora oggi l’artico. L’orsa era per quei popoli un animale misterioso, difficile da incontrare, e soprattutto un animale pericoloso, con cui era meglio non scontrarsi. E infatti è meglio non scontrarsi con Artemide, perché la vergine cacciatrice finirà sempre per avere la meglio su di noi mortali.

Nelle epoche successive, quando i maschi avevano ormai vinto e avevano dato agli dei le loro fattezze, dal momento che gli autori dei miti erano anch’essi maschi, Artemide è stata dipinta sempre più come una divinità crudele e temibile. In Omero si racconta un unico sacrificio umano, quello imposto proprio da Artemide per placare il mare e permettere alla flotta greca di salpare verso Troia. Perché la guerra possa finalmente iniziare – e quindi tanto altro sangue possa essere versato – è necessario il sangue di una vergine e dovrà essere sacrificata Ifigenia, la figlia del capo della spedizione, il re di Micene Agamennone. Alla fine Ifigenia verrà salvata dalla dea – anche se Agamennone e tutti gli altri non se ne accorgeranno – e sostituita da una candida cerva, proprio nel momento in cui il padre stava per far scendere il pugnale sulla figlia. Ifigenia sarà condotta nella remota regione della Tauride, l’odierna Crimea – teatro ancora di guerre – dove diventarà sacerdotessa della dea. E Agamennone pagherà comunque per aver ucciso la figlia, perché questa è la vera ragione per cui Clitennestra lo tradirà e lo ucciderà.

In un’altra storia, notissima, rappresentata da grandi pittori – qui vicino, a Fontanellato, ci sono gli splendidi affreschi del Parmigianino – Artemide trasforma il giovane cacciatore Atteone in un cervo, facendolo poi sbranare dai suoi stessi cani, per punirlo del fatto che l’aveva spiata, mentre nuda faceva il bagno con le sue compagne, all’ombra della selva Gargafia.

C’è un’altra storia però che voglio raccontare, quella della ninfa Callisto, la bellissima come dice il suo nome, figlia di Licaone, l’uomo-lupo, la quale faceva parte del seguito della dea. Anche le ninfe di Artemide dovevano far voto di rimanere vergini, ma Callisto fu sedotta da Zeus che, con astuzia, prese le sembianze della stessa Artemide e si unì a lei.

Particolare dell’affresco di Fontanellato

Un’antica leggenda, una versione precedente del mito, racconta che Zeus prese le sembianze di un orso – o meglio di unorsa – proprio perché così appariva Artemide, e che anche Callisto era un’orsa. Quando la dea si accorse che la ninfa era incinta e che quindi aveva violato il patto che prescriveva di mantenere la verginità, la sua collera fu terribile e la cacciò dal suo seguito. Secondo alcuni la trasformò in un’orsa, secondo un’altra versione fu Era a trasformarla in questo animale, per vendicarsi del tradimento del marito, per altri ancora lo fece lo stesso Zeus, per tentare di sottrarla alla vendetta di Era. La storia è così confusa, perché Callisto era già un’orsa, ma dovevano trovare un modo per giustificare questa trasformazione. Comunque sia la vergine cacciatrice – alcuni dicono per sua volontà, altri dicono istigata da Era – uccise lorsa Callisto. Per la pietà di Zeus, o forse della stessa Artemide – anche qui le tradizioni divergono – Callisto salì in cielo e divenne la costellazione dell’Orsa maggiore. E suo figlio Arcade – il cui nome significa il figlio dellorsa – fu trasformato nella costellazione dellOrsa minore. Ma Era, per vendicarsi ancora del tradimento di Zeus, ottenne che queste nuove costellazioni non potessero mai tramontare.

Si tratta dell’unico mito greco in cui appare un amore lesbico. Naturalmente le interpretazioni sono molte. Personalmente credo che sia vera anche la più immediata e la più semplice: Callisto è Artemide, perché non si tratta di un nome, ma di un aggettivo, spesso riferito alla dea, e perché lorsa è Artemide. Questo mito racconta la paura dell’uomo che la donna possa generare da sola, che possa fare a meno del maschio. E invece sarà Zeus, proprio secondo la mitologica scritta dai maschi, a generare da solo, e da questo parto innaturale nascerà Atena, un’altra dea vergine, patrona della città, dello spazio pubblico dominato dai maschi. Così fu definitivamente normalizzato in senso patriarcale il mondo divino; e Artemide l’orsa venne rigettata nelle sue foreste, a spaventare i mortali. Ma di quelle foreste rimase – e rimane – regina.

Non so se siete arrivati a leggere fin qui, ma questa, come avete capito, è un storia d’attualità. Perché il problema di fondo che emerge ancora una volta è l’incapacità degli uomini di stare al proprio posto nell’ordine della natura. Gli uomini non capiscono – o non vogliono capire – che sono soltanto una parte di questo mondo, e nemmeno la più importante.

Nelle foto, gli affreschi del Parmigianino, realizzati nel 1524 alla Rocca Sanvitale a Fontanellato, Parma

  • Luca Billi ha pubblicato il romanzo Anything Goes (Villaggio Maori Edizioni), tra i cinque migliori libri musicali del 2022 per il premio CartaCanta. Anything Goes è anche uno spettacolo teatrale. Prossima tappa a Ferrara, il 21 maggio, ore 16.30, ai Giardini di Palazzo Schifanoia. Per tenersi informati, qui
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