UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

La destra all’attacco della cultura. Ma la cultura non è propaganda

La destra italiana ha intenzione di conquistare il mondo della cultura e ha già intrapreso la marcia con il convegno “Stati generali della cultura nazionale” – tenuto a Roma – che dovrebbe portarla verso la meta. L’obiettivo sarebbe quello di sottrarre alla sinistra il monopolio della cultura che detiene, secondo gli avversari, dal dopoguerra. Il ministro democristiano degli Interni Scelba, la definiva “culturame”.

La marcia potrebbe diventare molto difficile soprattutto perché quel traguardo è irraggiungibile: la cultura intesa come conoscenza non è di destra o di sinistra; esistono semmai intellettuali, scrittori, artisti, storici, filosofi, dal pensiero conservatore o progressista, ma non legato al potere politico. Le scelte elettorali – nei Paesi in cui possono farle – le decidono come semplici cittadini.

“Lo scrittore non è colui che suona il piffero per la rivoluzione”, cioè non fa propaganda, scrisse Elio Vittorini sul Politecnico nel 1946 in risposta al duro attacco alla rivista da lui fondata, proveniente da Togliatti e Alicata. I due dirigenti comunisti attraverso Rinascita – il periodico del partito – definirono “borghese e antioperaia” la pubblicazione di articoli sulla letteratura americana. È da ricordare che ormai eravamo in piena guerra fredda. Vittorini spiegò che le “esigenze rivoluzionarie dello scrittore sono diverse da quelle della politica; sono esigenze interne, segrete dell’uomo che egli soltanto sa scorgere”.

Il primo numero de Il Politecnico

La polemica si concluse dopo qualche mese con il PCI che tolse l’appoggio economico al Politecnico mentre Vittorini lasciava il partito. Togliatti lo salutò su Rinascita con un articolo velenoso e irridente dal titolo “Vittorini se n’è ghiuto e soli ci ha lasciati”. L’anno dopo in un articolo sulla Stampa intitolato “Le vie degli ex comunisti”, lo scrittore spiegò il dissenso verso la politica del PCI scrivendo che “il comunismo chiuso nella sua intolleranza ideologica si allontana da libertà e democrazia”.

Un simile trattamento da parte del partito lo subì una decina di anni dopo anche lo scrittore Romano Bilenchi, comunista, direttore del Nuovo Corriere, quotidiano di Firenze legato al PCI, come Paese Sera. Sempre critico verso i metodi repressivi dello stalinismo, durante la protesta operaia di Poznan (in Polonia) del giugno del 1956, Bilenchi prese posizione contro la repressione e rincarò la dose a novembre dello stesso anno durante l’invasione in Ungheria dei carri armati sovietici per reprimere la rivolta. Nei suoi editoriali scrisse tra l’altro: “Accade che il partito della classe operaia spari sugli operai”. La risposta del PCI fu immediata: al Nuovo Corriere venne tolta la pubblicità e l’appoggio della distribuzione. Il giornale chiuse dopo pochi giorni.

Poco tempo dopo uscì dal partito anche Italo Calvino con una lettera che l’Unità pubblicò. Lo scrittore disse tra l’altro: “Insieme a molti compagni avevo auspicato che il partito comunista italiano si mettesse alla testa del rinnovamento internazionale del comunismo condannando i metodi  di esercizio del potere rivelatisi fallimentari e antipopolari…” e concluse con “un saluto ai compagni che lottano per affermare giusti principi e anche a quelli più lontani dalle mie posizioni, a tutti i lavoratori, alla parte migliore del popolo italiano, dei quali continuerò a considerarmi un compagno”.

Italo Calvino in una intervista Rai del 1958

Sono alcuni esempi di intellettuali che difesero le proprie idee dagli assalti della politica. E ce ne sono tanti altri nel passato, anche “di destra”: Curzio Malaparte, nato fascista, che comprese presto cos’erano il fascismo e il nazismo e descrisse la loro guerra in Kaputt, dove inviato in Finlandia e nella Russia occupata, documentò gli eccidi dei nazisti. Per nasconderlo, affidò il suo manoscritto all’ambasciatore spagnolo in Finlandia che glielo restituì alla fine del conflitto.

Persino D’Annunzio, eletto deputato della destra liberale nel 1898, dopo l’eccidio di Bava Beccaris a Milano, in Parlamento andò a sedersi per protesta tra i banchi dello sparuto gruppo socialista esclamando “vado verso la vita”. Ma fu una breve parentesi: in seguito cambiò idea e divenne interventista durante la prima guerra mondiale, con l’aiuto dei servizi segreti francesi che gli avevano pagato gli enormi debiti contratti a causa della sua vita dispendiosa. Poi diventò “vate” del fascismo, ben pagato da Mussolini a patto che se ne stesse tranquillo al Vittoriale. Vinse in lui l’opportunismo.

Tra gli intellettuali stranieri cito il “rivoluzionario” inglese George Orwell combattente in Spagna tra le brigate internazionali, che scrisse Omaggio alla Catalogna documentando la strage degli anarchici ordinata da Mosca e nel 1942 La fattoria degli animali, un racconto carico di satira contro il regime sovietico. Aggiungo anche Arthur Koestler, fervente comunista sino al 1939, che lasciò il partito in seguito al patto tra la Germania nazista e il regime sovietico.

Furono tutte prese di posizione molto sofferte ma giuste perché erano rivolte contro i poteri e le società ingiuste che avevano tradito i principi fondamentali della libertà. Quegli intellettuali pur restando di “sinistra”, non vollero suonare il piffero della propaganda. E non furono faziosi. Lo dimostra il comportamento verso il poeta americano Ezra Pound che fu un ammiratore di Mussolini e Hitler. Dal 1924 viveva in Italia e in seguito aderì alla repubblica di Salò. A fine guerra i partigiani lo consegnarono alle autorità americane che lo chiusero in una gabbia di ferro nel campo di concentramento per militari tedeschi e repubblichini di Coltano, nella pineta di Tombolo, tra Livorno e Pisa. Di fronte a questo rigore, tantissimi intellettuali italiani e americani chiesero la sua liberazione da quell’inferno e la ottennero. Hemingway disse di lui che i Cantos, (una delle sue opere) “dureranno sino a quando esisterà la letteratura”.

Ezra Pound nel 1945: consegnato agli americani

Oggi la destra italiana vuole competere con quel mondo. Ma chi sono i promotori di questo sconvolgimento? La premier Meloni, che prima delle elezioni urlava “Dio, patria e famiglia ai comizi” di Vox, il movimento ultrafascista spagnolo? O il presidente del Senato, Ignazio La Russa, che ogni volta che interviene in pubblico pronuncia parole offensive verso la Resistenza e la Costituzione? O Claudio Durigon, sottosegretario per le politiche sociali che l’anno scorso voleva cambiare il nome di un parco di Latina dedicato a Falcone e Borsellino, con quello di Arnaldo Mussolini, direttore del Popolo d’Italia che raccoglieva le tangenti per conto del fratello Benito? L’ultima battuta è del ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida: “Non possiamo arrenderci all’idea della sostituzione etnica”

Non manca il ministro dei Beni Culturali Gennaro Sangiuliano, giornalista e scrittore, il quale in una recente intervista ha dichiarato che “Dante era il fautore del pensiero di destra”, facendo ridere gli intellettuali di tutta Italia, conservatori e progressisti. Ma ridere non basta. Dobbiamo allarmarci al pensiero che l’Italia di oggi è nelle mani di questi personaggi. Chissà Leonardo Sciascia come li classificherebbe nella categoria da lui citata ne Il giorno della civetta: uomini, mezzi uomini, ominicchi o quaquaraqua?

Nella foto di apertura, il Palazzo della Civiltà del Lavoro situato nel quartiere Eur di Roma 

I social: