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Boileau e Narcejac. I volti dell’ombra tra realtà e paranoia

Partiamo da I Diabolici (Les Diaboliques), mitica pellicola del 1955, diretta da Henri-Georges Clouzot. Film nero quant’altri mai, godeva ai tempi di particolare fama, cioè di essere più spaventoso anzi più disturbante di quelli di Alfred Hitchcock, con cui vantava una parentela per via del romanzo da cui era tratto. Clouzot si era servito dalla coppia gialla composta dai francesi Pierre Boileau e Thomas Narcejac, cui Hitch – fallita l’acquisizione proprio de I Diabolici – attingerà per Vertigo-La donna che visse due volte (1958).

La trama dei Diabolici è basata sull’alleanza fatale di due donne, moglie e amante, che uccidono il loro uomo; commesso il delitto, il cadavere scompare e, fino al disvelamento finale, servito con un gran colpo di scena – un ingrediente tipico della ditta Boileau Narcejac – non capiamo se il rovello delle due donne (l’uomo è vivo o morto?) ha una giustificazione  reale o è provocato da paranoia.

Ho avuto in mente le facce stravolte di Simone Signoret e di Vera Clouzot nel film del maestro francese, mentre leggevo I volti dell’ombra (traduzione di Federica Di Lello e Maria Laura Vanorio, Collana Fabula Adelphi, 2023): non per caso, la prima uscita in libreria del romanzo data 1953, un anno prima de La donna che visse due volte e un anno dopo I Diabolici. Ossia: qui ci sono Boileau e Narcejac di certo in forma, al meglio di una formula enigmistica quasi da brevetto, giocata sul cortocircuito della ragione e gli incubi della mente. Ricordiamo di passaggio che La donna che visse due volte s’impernia anch’esso su un personaggio, la misteriosa Madeleine, che pare tornare dal “regno dei morti”.

Torniamo a I volti dell’ombra. Ne è protagonista il burbero Richard Hermantier, quarantenne ambizioso industriale (tra l’altro produce lampadine!), diventato cieco in seguito a un incidente e prigioniero, durante la convalescenza, di una famiglia assai solerte. Troppo solerte: Hermantier comincia a pensare che, invece di rivolerlo in forma, tutti hanno un motivo per desiderare di seppellirlo vivo – e non è un modo di dire – in una magione della Vandea, la casa del buen retiro che non gli è mai parsa estranea come in questo angoscioso e primo soggiorno da cieco.

Di nuovo, Boileau e Narcejac ci portano al loro dilemma preferito, con abilità e buon senso del ritmo, usando costantemente il punto di vista del protagonista non vedente, dalle palpebre teatralmente cucite – andiamo, cioè leggiamo, anche noi sempre a tentoni: i timori di Hermantier sono credibili oppure creati da una mente provata? Magistrale il capitolo in cui l’industriale si trova davanti la croce di un piccolo cimitero…

Hanno scritto molto da soli e in due Boileau e Narcejac, tra il 1941 e il 1991, e Adelphi li sta ripubblicando con fiducia. Ha puntato su di loro dal 2014 – e ormai siamo al quarto romanzo che esce nella prestigiosa collana Fabula. Li ritraduce e li nobilita poiché alcuni dei titoli, i più noti, erano già usciti per il Giallo Mondadori o per la serie gialla di Garzanti se non come libri del Corriere – la maggior parte dell’opera del duo, però, resta sommersa per la nostra editoria.

Ce n’è abbastanza per costruire ex novo una reputazione e per spacciare in libreria una coppia di noiristi sofisticata e tuttora modernissima. Per la cronaca, il “nuovo” romanzo ha ispirato un poco memorabile film britannico, Faces in the Dark di David Eady (1960). Quello si può perdere.

Nella foto, Narcejac e Boileau

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