UN BLOG
IN FORMA DI MAGAZINE
E VICEVERSA

Allonsanfàn
{{post_author}}

Il vecchio e il nuovo di Matteo Messina Denaro

È un mafioso nuovo e antico allo stesso tempo il Matteo Messina Denaro che emerge dal primo interrogatorio con il procuratore aggiunto Paolo Guido e il procuratore capo di Palermo Maurizio De Lucia. Nelle 65 pagine del primo interrogatorio (ce ne saranno altri tre) il boss si presenta come un uomo che sa di non avere più nulla da perdere (conosce benissimo le proprie condizioni di salute), ma non è domo. Chiarisce subito che a qualcosa potrà anche rispondere, ma come si vede nel prosieguo della chiacchierata è poca roba. La sua però non è una chiusura totale ed è un grande cambiamento rispetto al passato.

Dice che senza la malattia non l’avrebbero mai preso (probabile), ma nelle sue parole e nel suo atteggiamento non dimostra particolare avversità verso i magistrati. Il colloquio è un dialogo tra avversari dove addirittura MMD racconta qualcosa. E a tratti la discussione si fa divertente. Nulla al contrario degli atteggiamenti feroci di un Leoluca Bagarella o della scenata che Totò Riina fece a Carla Del Ponte. Oppure degli interrogatori di Falcone con atteggiamenti molto formali nei confronti dell’interrogato, lunghi silenzi e ammiccamenti. Perché con un mafioso un non detto o un’espressione valgono più di un racconto.

MMD invece parla e lo fa in un italiano eccellente. Il dialetto lo utilizza solo in un’occasione, sa cos’è un ossimoro, dice di avere letto Alda Merini e di essere un appassionato di storia antica: “Da Roma a salire”. Si pone a metà strada fra il Totò Riina che preferiva esprimersi in vernacolo e qualche figlio di boss che invece avrebbe scelto la strada dello studio. Lui è la generazione di mezzo che non aveva nessuna intenzione di ridursi in un casolare di campagna a mangiare ricotta e cicoria come Provenzano. “Non posso fare alla Provenzano con tutto il rispetto per ricotta e cicoria” spiega.

Racconta che se dovessero interrogare tutti quelli con cui ha avuto a che fare a Campobello di Mazara, il paese dove viveva, avrebbero parecchio lavoro. Mille -duemila persone, dice per fare capire che lui faceva quello che voleva. E il telefonino ha iniziato a utilizzarlo solo perché la clinica aveva bisogno di un numero di telefono. Allora ne ha preso uno, consapevole che così sarebbe “andato a sbattere”. E con compiacimento racconta di avere saputo delle telecamere attorno a casa della sorella e fa il nome del maresciallo che le avrebbe installate. Però glissa su quelle dentro la casa della sorella da tempo pedinata.

Fin qui è un padrino 2.0, ma tutta questa modernità scompare quando il pm gli chiede se sia un uomo d’onore. Lo è come persona ma non certo come affiliato a Cosa Nostra è la risposta coerente con la storia dell’organizzazione. Dove non è possibile ammetterne l’esistenza. Quando durante il maxiprocesso viene ucciso il piccolo Claudio Domino, uno degli imputati Giovanni Bontate prende la parola in aula e dice che non sono stati loro a compiere l’omicidio. Una implicita ammissione dell’esistenza di Cosa Nostra che Bontate pagherà con la vita. Interrogato, Totò Riina si chiede “Cosa è questa mafia” e Michele Greco, sempre al maxi, dice “Della mafia so quello che sanno tutti. La droga mi fa schifo solo parlarne”. E poi Luciano Liggio con finezza: Se esiste l’antimafia vorrà dire che esiste pure la mafia” in quella che potremmo anche definire una contorta e strana ammissione.

 

interrogatorio Matteo Messina Denaro
La cattura (Feltrinelli), di Maurizio De Lucia, procuratore capo della Repubblica di Palermo, e del giornalista di Repubblica Salvo Palazzolo, racconta l’arresto di Matteo Messina Denaro

MMD sceglie invece di negare in un modo anche po’ ridicolo, vista la mole di prove e testimonianze contro di lui. Perché lui è un “criminale onesto”, dal suo punto di vista solo in apparenza un ossimoro. Nei processi dove è stato condannato, dice, “non ci sono stati riscontri oggettivi”, omicidi non ne ha mai compiuti, della droga non sa nulla, le estorsioni le scansa come la peste e Provenzano lo ha visto solo in tv. Anche se pizzini con lui se li scambiava. “Perché quando si fa un certo tipo di vita poi, arrivato a un dato momento, ci dobbiamo incontrare”. E come ha fatto a trovarlo visto che non è uomo d’onore? “Se io cerco una persona normale, mi viene difficile, ma se cerco un latitante come me, ci troviamo”.

Linea di difesa un po’ debole come quando si discute su Andrea Bonafede, la persona che lo copriva con la sua identità per gli esami in clinica, e lui dice che non è uomo d’onore. E come fa a saperlo se neanche lui lo è?

Durante la discussione ci sono anche momenti divertenti. Un pm parla del Bélice e lui lo riprende perché la corretta pronuncia è Belìce. “Un giornalista lo disse nel ’68 e rovinò questa situazione”. “Ha ragione” dice Guido. “Ha ragione stavo per correggere” aggiunge De Lucia. E poi racconta di quando a Selinunte “c’erano mille persone e tutte e mille, pure le donne, scavavano di notte”. Raccoglievano reperti, vasi greci, e li rivendevano. Suo padre, che non era certo il cameriere di Totò Riina spiega con decisione, in quel modo ha fatto parecchi soldi. Li vendevano in tutto il mondo quei vasi, lekhytos, “che li trovavano senza figure”. Così valevano 2-3 milioni ma con le figure si arrivava a 20-30-40 milioni. E a Centuripe, paese siciliano, si specializzarono nel disegnare figure farlocche sui vasi.

Ci sarebbe da ridere parecchio se non fosse che da lì parte una storia criminale di grande spessore fra il padre e il figlio morente che non ammette di essere uomo d’onore ma dice che se ci fosse stato lui (era tra i membri del commando) Rino Germanà, commissario di Polizia a Palermo, nel settembre 1992 da quell’agguato non sarebbe uscito vivo: “Se gli sparavo io lo prendevo”. MMD va oltre Francesca Mambro e Giusva Fioravanti che confessano numerosi omicidi ma rifiutano la colpevolezza per la strage di Bologna, lui non ammette nulla. Però gli piace fare sapere che sa perché nell’ultimo colloquio, ormai sempre più vicino alla morte, butta lì delle pillole. “Voi magistrati vi siete accontentati che il giudice Falcone sia stato ucciso perché ha fatto dare 15 ergastoli al maxiprocesso?”. Tutto, spiega, nasce dalla strage di Capaci. E sul depistaggio dell’indagine di Borsellino “Perché vi siete fermati a La Barbera (il poliziotto considerato l’architetto del depistaggio, ndr)? Perché La Barbera era all’apice di qualcosa… ha capito cosa… il contesto?”. Qualcuno ha parlato di voglia di depistare ma non ce ne sarebbe bisogno. E quello che dice il boss, una volta tanto non appare per nulla campato in aria.

I social: